LO SPAZIO APERTO DI MIMMO SANCINETO
L’impasto corposo e la freschezza cromatica della tavolozza di Mimmo Sancineto, intrisa di una luce riverberata e immersa in una precisa regolamentazione della dialettica spazio-superficie, costituisce il linguaggio pittorico di questo artista, per il quale la forma viene dischiusa dalla materia, che la libera in una dimensione spontanea capace di metamorfosarsi e rinnovarsi. Dalla materia scaturiscono gli accordi di colore, di toni, di ombre e di luci che creano una sorta di spazio aperto e continuo in cui vibra un movimento reale e mentale. E’ un’opera in cui la concretezza e la massa degli impasti si affermano su puri valori astratti, sottraendo la pittura al dominio dello spirito, e perviene all’azzeramento del limite differenziale fra figuratività e astrazione in un informale che è cominciamento ambiguo e amplificante per il superamente del limite medesimo. C’è il gusto del dipingere e del plasmare contesti o frammenti di un universo virtualmente infinito e circoscritto nello spazio bidimensionale, di una smemorata “visione” di una visibilità; c’è un ritmo di pieni e di vuoti che conferisce alla materia la realtà di una concertata assenza di immagini precostituite ma che diventa luogo di immagini successive e concatenate, c’è, nello scalare dei diversi piani e scansioni, una linea sottile e imprendibile che evoca quella di certi orizzonti irreali, inesistenti e impossibili. Il gusto di plasmare la materia si traspone nell’opera scultorea di Sancineto, vigorosa e impositiva, sempre mirata ad una concreta invasione dello spazio. Di natura impressionista, ancorata al reale, l’opera si fa “gridata” e sofferta, e le figure, dai tratti alterati, rendono, plasticamente, il senso di una drammaticità diffusa e collettiva. E’ il caso della serie, bellissima, dei “Drogati”, dalle forme corpose e ripiegate in dettagli ciclopici, stravolti e travagliati da un male che li devasta e li consuma. O il caso, ancora più struggente, del “Cavallo morente”, in cui l’articolata invenzione della forma, strutturata nel gioco curvilineo e rettilineo degli elementi, dà pathos all’animale, che sembra sublimarsi in uno spirito urlante, infernale e inquietante; ne risulta un grido che si squama, in un’invocazione disperata, come se fosse un’impennata d’orgoglio in una sequenza mortale. E’ un’opera, questa, un procedimento di sovrapposizione della materia fino all’esasperazione. Ma è comune il senso della tragedia imminente e ineluttabile. Direi, per concludere, che nell’opera pittorica di Mimmo Sancineto c’è una ventata di freschezza e un afflato di vita ribaltati su un piano fantastico, in quella scultorea la fredda razionalità di una dimensione angosciosa, oggettiva e immutabile.