Claudio Strinati

Mimmo Sancineto ha una carriera lunga e variegata, sempre volta alla difesa, mai provinciale ma aperta e appassionata, della sua Calabria.  Al centro dei suoi interessi morali e figurativi c’è quella terra meravigliosa e generosa ma che ha sofferto di emarginazione e persino di assenza di memoria, tanto più dolorosa in quella che è stata la straordinaria culla della civiltà millenaria della Magna Grecia. A questa situazione di abbandono e trascuratezza Sancineto ha inteso reagire con vigore e passione inflessibili, e il suo lavoro intenso e dinamico lo ha così portato a ricreare  una condizione di appassionato recupero di memorie rimaste come latenti in quel contesto.

Da questa inesausta tensione è nata quella singolarissima e personalissima tematica che è quella dei “muri” della sua terra, indagati e riprodotti quasi per farne rivivere i depositi di vita vissuta che vi sono rimasti come incardinati dentro, trasformandosi in fatti figurativi divenuti sintomo e conseguenza di un amore fervido ma contrastato dalle umane vicende.

C’è un senso di profonda umiltà e di orgogliosa affermazione in questa lenta e continua “indagine” che si avverte carica di dolori e fatiche, specie nel periodo che corrisponde, nel lavoro di Sancineto artista e docente, soprattutto agli anni settanta, per spostarsi poi, nei successivi vent’anni, verso i grandi temi del Tempo, delle Stagioni e dell’Amore, quasi a tessere un’epopea artistica che collega ogni momento a quello precedente. I “muri” non arrivarono subito. Per un po’ di tempo Mimmo Sancineto è stato raffinato seguace di certi grandi maestri che la terra di Calabria ha avuto più numerosi di quanto oggi non si sappia con chiarezza.  Ne ha assimilato il linguaggio, colto e spontaneo nel contempo, ma presto si è emancipato dall’ossequio, pur sentito e sincero, verso certi importanti predecessori e ha fatto da sé. E molto ha curato la ricerca tecnica perchè si è distinto come sensibile pittore ma anche come forte scultore, sempre dibattendosi tra ribellione e attesa, tra delusioni e accensioni. Non dimentica mai, proprio lui che ha scelto di restare nella sua patria e di vivere le sue esperienze artistiche nell’ambiente stesso che continua a stimolarlo e a nutrirlo, il grande problema del linguaggio figurativo in sé.

La mostra che oggi presentiamo è, dunque, ricca di opere recenti sulle quali è possibile fare il punto rispetto alla complessa evoluzione del maestro e si capisce bene, a ripercorrerne sinteticamente la parabola, come nel suo caso l’aderenza alle tematiche individuate già nella gioventù non sia mai venuta meno ma si sia invece accresciuta progressivamente.

La pennellata è diventata adesso sempre più larga e piena, in un singolare equilibrio tra assoluta libertà di stesura e accurata attitudine descrittiva. Dall’antico tema dei muri sbrecciati e rovinati dal tempo e dall’opera dell’uomo, affiorano questi poderosi relitti di figuratività che sembrano scrutati dall’alto, in punti di osservazione remoti da cui, pure, l’osservatore è come se sprofondasse dentro la materia pittorica, quasi un astronomo dell’arte che vede molto oltre le apparenze immediate ma non si discosta mai dal “Vero”. Sono come ossature, strutture visive sovraccariche di Umanità che non vogliono rappresentare questo o quel singolo essere, ma aspirano a una sorta di universalità in cui sia possibile rintracciare la quintessenza del fatto espressivo in sé, che diventa l’argomento basilare della pittura.

E’ stato un processo di maturazione lento e profondo e oggi ne vediamo le più alte conseguenze culminanti in una esperienza che conferisce a questa arte una dignità e una forza davvero singolari.

E’ un bene che l’artista trascini i temi stessi dell’Etica e del Comportamento dentro la sua arte.  Fu così in epoche remote e può essere così anche oggi. La lezione di Mimmo Sancineto si muove in questa direzione conseguendo risultati importanti che si iscrivono a buon diritto nella storia della pittura e della scultura italiana del nostro tempo.


English version

Mimmo Sancineto’s carreer is long, varied and always aimed at defending its country: its Calabria, with a passionate and sincere attitude. Actually, this beautiful and generous  region in the south of Italy is the centre of his moral and figurative interests. It suffered to be emarginated and neglected even if, in the past, it was the cradle of the millenary civilization of Magna Graecia. That’s why Sancineto has always fought with an extraordinary energy against this situation of neglect and he has worked hard and actively to recover the memories that were concealed in that context.

Also the “walls” of his Calabria , a very peculiar theme that the artist represented in his first works, were reproduced to give life to the human events that were kept and hidden in those walls.

You can feel a deep humility together with a proud determination in this slow and hard “research” that Sancineto carried out especially in the Seventies, and during the next twenty years. In those years he started showing interest in the great themes of Time, Seasons and Love, to create a kind of “artistic journey”, where every moment is well connected to the moment before.

But the “walls” didn’t arrive at once. At first Mimmo Sancineto was a refined follower of great masters born in Calabria and that are more numerous than we can imagine. He  learnt their refined but spontaneous language even if he became independent of them very soon, acquiring his very personal style.

He worked carefully on the technical research, so that he distinguished himself both as a sensitive painter and as an effective sculptor, always fighting between rebellion and hope, between disappointment and enthusiasm.

He never forgot the great problem of the figurative language in itself, even though he chose to stay in his birthplace and to live his artistic experiences in the same environment that still stimulates and fosters his creativity.

The exhibition mounted in Rome is rich in recent paintings so that it’s possible to consider his complex artistic development and to realize that the artist has never abandoned the themes he had dealt in his youth but, on the contrary,  he has enriched them.

Now his brush-stroke is larger and deeper, in a perfect balance between an absolute freedom in spreading colours and a careful descriptive ability. Powerful examples of figurativeness appear from the old theme of the “walls” that the time and the work of man crumbled and spoilt. They seem to be scanned from high and remote points of observation where even the observer has a feeling he is sinking into the pictorial matter. He looks like an astronomer of art that can see over the immediate appearances but never far from the “Truth”. They are like frameworks, visual structures charges with Humanity that don’t want to represent any single individual in particular, but that aim at a kind of universality where it is possible to find the quintessence of the expressive fact in itself, which becomes the basic subject of painting.

It has been a deep and slow process of maturation , and today we can see its highest results in an experience that gives to this art a really singular strength and dignity.

It is right that the artist takes the very themes of Ethics and of Behaviour  into his art. That’s what happened in remote ages and what can happen today as well. Mimmo Sancineto’s lesson moves to this direction achieving important results that can be recorded, rightfully, in the history of Italian painting and sculpture of our time.    

Pierfranco Bruni

La misura del tempo non sta nella armonia o disarmonia degli spazi. Sta, invece, nel rendere gli spazi armonici che danno vitalità ad una ricerca che è sempre dettata da un sistema di valori. In questo viaggio che compie Mimmo Sancineto il tempo, comunque, non è misura ma non ha neppure parametri di misura. Perché, in fondo, l’arte è così. Una ricerca che si assenta dal ricercato per definirsi come trasmissione di valori estetici che provengono da un confronto con modelli etici. La tavolozza rende tutto questo armonico. Sono i colori che diffondono, nel loro insieme e nei loro giochi, un dipanarsi di immagini che si proiettano certamente nel tempora in un tempo che conosce l’anima del presente nel dettato culturale del futuro.

Mimmo Sancineto è un “creatore” di sensazioni e di espressioni in cui il cromatismo delle tinte non rinuncia mai ad un lirismo di immagini. Ci sono le immagini anche quando le stesse non offrono, a primo acchito, delle forme.

Non un artista delle forme ma parimenti un artista che non erode le forme.

Ed ecco, allora, ritornare la misura del tempo oltre ogni cronaca e oltre ogni orologio che cataloga le ore della pittura. In questo tracciato c’è la vita. Anzi c’è una vita le cui matasse sono state intrecciate ad una raffinata intelaiatura con il profilo di una fantasia che segna l’essere dell’immaginazione. Entriamo, così, in un campo che è quello della metafora. Ma la metafora, nella pittura e  nel plasmare la scultura, è l’anima che fa muovere le mani.  Si pensi alle sue sculture che recitano il corpo. Qui la forma resta ma è lontana da ogni precostituita oggettività. In realtà Sancineto è l’artista del soggetto E il suo tocco è in una manifestazione in cui a prendere il sopravvento è l’estasi.

Per un artista come Sancineto, e il cammino qui sottolineato  lo dimostra,  l’estasi è sempre accompagnata ad una voce sublimare che è l’oblio.

Plasmare e dipingere nelle forme che perdono la forma. Mi sembra, questa, il nucleo di una struttura artistica che si serve degli strumenti conosciuti come i manufatti dell’arte ma che poi, alla fine, perdono connotazioni formaliste per ri-dimensionarsi in uno stile che è sobrietà del linguaggio mitico.

Dentro questo straordinario percorso ci sono i codici dell’uomo che si esprime attraverso una esperienza che è artistica certamente ma resta necessariamente legata a quelle voci del desiderio di una civiltà contemporanea che non ha mai smarrito la sua eredità e la sua storicità.

Appunto per questo il patrimonio espressivo di Sancineto solca i giorni incommensurabili di  tempo senza misura e senza alcuna pratica di strutturalismo critico. I segni, le linee, le sagome, le figure che occupano lo scenario non costituiscono soltanto incisi della memoria (di un passato che si documenta senza dimostrarlo)  ma preparano lo spazio (appuntalo spazio e non più il tempo) nello scenario di una costante ricerca sempre non ultimata.

Il vero artista non può ritenere compiuta una ricerca, non può essere soddisfatto di aver ultimato una ricerca. La ricerca dell’artista è un perenne…Mi pare che su questo attraversamento costante possibile stabilire un dialogo che è sempre tra il tratteggio delle linee e il colore.

L’esperienza che qui si sintetizza è un graffiare di unghia sia sulla tavolozza sia sulle tele sia nell’impasto della creta. Ovvero in questo graffiare c’è il destino di un artista ma anche un modello nella capacità di raccontare grazie all’assenza delle parole.

Uno dei dati fondamentali è che Sancineto non si assenta mai dalla vita. I temi e le problematiche che occupano il sociale sono particolari che insistono ora nell’affrontare direttamente le questioni ora nel lascito suggestivo di immagini appena accennate. Ma ci sono. L’artista che non dimentica e non si assenta.

Eros e natura, paesaggi e immersioni nel colore profondo; spaccati di case e sguardi rappresentano non una diversificazione ma un unicum nel cosmopolitismo dei linguaggi intrecciati nel dialogo del quotidiano e del sempre. Un perdersi e un ritrovarsi nei giorni che si avvitano in questa dimensione che ha voce e destino. I volti della speranza o della disperazione, il superamento di ogni afflato realistico, la domesticità dei quadretti di paesi sono un autentico bisogno di capire l’orizzonte della rivelazione. L’arte non è solo liberazione. Anzi è soprattutto rivelazione. E non una volta per tutte.Ma una rivelazione che non smette di essere rivelazione nel battito del sempre.

Il Mediterraneo non è, d’altronde, una deposizione nell’acquisito, ma una visione rivelativa sia sul piano della proposta emotiva che su quello della esposizione estetica. Ho fatto un solo esempio. Gli strumenti creativi sono elaborazione nella ricerca di Sancineto e proprio per questo insistono in una interpretazione estetica che è la suggestiva meraviglia.

Dalle stagioni agli improvvisi tratti di un Sud che ha confini ci sono sempre messaggi che rivelano.

Forse è proprio qui che la misura del tempo lascia ogni metrica e ogni orpello di parametri geografici e geometrici per enuclearsi in quella universalità che ha un ‘indefinibilità nell’attraversamento di quell’armonia nello spazio alla quale si faceva cenno all’inizio.

Mimmo Sancineto tratta l’argomentare del suo mondo (che è la vita, questa sì, della memoria e del presente) con i pennelli dell’universo. In questo universo l’universalità è un tempo che continua dentro ognuno di noi. Nella plasticità delle sculture ci sono i movimenti (e non le forzature) di quel tempo che recita la vita. Ed è qui il viaggio che si dimostra. Percorriamolo (o ripercorriamolo), senza alcuna esitazione, insieme.


I SEGNI E I SIMBOLI DI MIMMO SANCINETO

Alghero, 2006

I segni della Magna Grecia sono simboli che tracciano tracciati tra le ombre dell’anima e dei colori. Viaggiare tra i luoghi significa definire i veri non luoghi di una geografia che si è fatta memoria.

E’ un mosaico i cui tasselli sono dentro il tempo il lavoro di Mimmo Sancineto. Una ricerca che parte da molto lontano e si definisce tra le “forme” e i colori. Ma la storia è lacerata perché a prendere il sopravvento è il tempo ma anche quella dimensione dello spazio fatto di spiritualità (laica) nella memoria. La memoria nella quale Sibari, Crotone, Metaponto sono un attraversamento nel mito. Mimmo Sancineto, maestro indiscusso del pastellato dei paesaggi e dei muri che disegnano una tensione di esistenze. Questo scavo di Sancineto non ci porta ad una rappresentazione di documento  ma ad una visione di simboli.

Simboli ed alchimie sulla tavolozza ci portano ad una magia di segni in cui la Magna Grecia diventa sempre più identità. Il simbolo del cavallino e gli archetipi dei luoghi sono magia e sacro e sottolineano una relazione tra arte e archeologia. L’arte entra nell’archeologia e viceversa in Sancineto. La Sibari magno-greca è un progetto di un pensare in cui i colori e le forme del Mediterraneo sono valori di essenza.

Sancineto è un attento ricercatore tra gli anelli del territorio. Il territorio che si fa manifestazione di miti e l’arte che è l’espressione non di una esperienza soltanto ma un atto creativo in cui la fantasia, in questo caso, non è mistero ma destino della memoria.

L’arte come memoria e la memoria come voce di un processo esistenziale lungo quel Golfo della Magna Grecia che si dichiara come poesia.

Ogni linea di colore, ogni tempo del paesaggio è un viaggio. Ebbene, Sancineto chiede alla natura di vivere le stagioni come contemplazione dello sguardo. Crotone è mito e alchimia. Sibari è leggenda e storia. Metaponto è nelle Colonne Palatine. Il seguito è pellegrinaggio dell’artista tra le pieghe che lasciano, appunto, segni e simboli.

La Magna Grecia di Sancineto è un andare nel gioco infinito-indefinito di un sentimento che è nella comprensione di un tempo che si fa sentiero incantato. Nel territorio. Tra i territori di Sancineto il progetto arte è vita. Ma nella problematica della Magna Grecia Sancineto ci fa vivere una eredità che è sempre di più appartenenza. Nel senso e nell’orizzonte di un infinito viaggio nel quale emozioni, sensazioni, passioni sono dentro lo specchio e la maschera dell’artista. I simboli si dichiarano e le voci del colore sono vita.


MIMMO SANCINETO’S SYMBOLS

Alghero, 2006 - English version

Symbol of Magna Grecian are the symbols that will send you in the shadow of human soul, and the colours.  Travelling in different places through art, means travelling in the places discovered by your mind.

The work of Mimmo Sancineto is one research which began from far away and ends through the shapes and colours.

He is a big master of pastel and view, which paints a tension of being.

His work doesn’t bring us just one document’s representation, but in one vision of symbols.

Horse’s symbol and archetype of places, are something magic and saint, they are something between art and archaeology. Art is inside of archaeology, even in Sancineto’s work we can find this.  The symbol  Magno – Grecian (Magna – Grecia)is a project of the think, in which colours and the shapes of Mediterranean are the value of the essence.

Sancineto is one careful researcher between the rings of the places, places which doing the parade of myths and art, which isn’t just one feeling of the real live, but one creation where the fantasy isn’t mystery anymore, but is the destiny of memory.

The art is like the memory, the memory like the voice in one important process of Magna Grecian that is like poetry.

Every line of colours, every time of view is like a real journey.

Croton is myths and alchemy, Sibari is the legend and the story.

Magna Grecian (Magna – Grecia) of Sancineto is a journey in the game ends - infinity – of the feeling which is the understanding of time, in this magic journey.

In the place.  Between places of Sancineto is project art and life, but in sever Magna Grecian’s (Magna – Grecia) Sancineto brings us as the heredity of the past so real.

In one infinity journey the emotion and the passion are inside the mirror and the mask of the author.  The symbols are colour’s voice, they are the Life.


Giorgio Leone

Mimmo Sancineto e le sue “Dieci tavole per Rossano”

Dieci tavole per Rossano. In questo modo, se fossimo ancora nell’epoca del Grand Tour, potremmo chiamare la sezione della mostra di Mimmo Sancineto dedicata all’antica e bella città jonica calabrese.

Artista impegnato per la sua terra e che, anche negli anni in cui nel campo dell’arte era certo più facile operare fuori dalla Calabria, ha preferito restare nella sua regione, tra il Pollino e lo Stretto, tra il mar Tirreno e lo Jonio.

Non è stato certo l’unico. Singolare, però, appare il suo percorso. Teso a non confondere la sua scelta con un isolamento, sia pur volontario. Infatti, non si è racchiuso nei meandri di una pittura facile e suadente e nemmeno in quelli, altrettanto mistificatori, di un espressionismo à la page, spesso semplicemente mediato, più o meno esplicitamente, dai media visivi che oramai giornalmente ne trasmettono alcuni esiti, sublimati e trasformati in immagini eidetiche subito afferrate ma non fermate dal subcosciente, per cui la memoria ne conserva solo il potere evocativo e non la sintesi formale.

È stato, al contrario, un vero straniero nella sua vera terra.

Ha cercato di tenere alto il valore della comunicazione, distinguendolo dall’operato artistico ma non escludendolo, soprattutto ha mantenuto chiaro e inalterato il rapporto dell’arte con il pubblico e non l’ha mercificato, né per i propri fini né per quello degli altri. Dovrebbero essere ancora in mente gli anni in cui “Il Coscile” - la galleria d’arte aperta da Mimmo Sancineto a Castrovillari: la sua città, nella quale senz’altro confluì la sua precedente esperienza dell’associazione “Le Trou” sempre da lui fondata assieme ad amici pittori e scultori anche loro - ha ospitato importanti mostre di artisti di ogni parte d’Italia. Accogliendole in un unico luogo, sebbene temporaneamente e in consecuzione tra esse, ha creato un filo, all’apparenza esile ma invece ben forte e consistente come un ponte - come i veri ponti! -, con le tendenze culturali più vive permettendone il confronto con le realtà calabresi dandovi quindi un decisivo impulso. Ognuno può trarre le sue personali conclusioni su quanto appena detto, anche discordanti, rimane innegabile l’essere accaduto.

Un impegno morale prima ancora che professionale questo di Mimmo Sancineto, connaturato di certo al fatto di sentirsi ed essere in prima persona coinvolto in quelle istanze artistiche. Si è sicuri che se qui ci fosse il tempo e lo spazio editoriale di sfogliare e di discutere ogni catalogo edito in occasione delle mostre allestite presso “Il Coscile”, si potrebbe senz’altro evidenziare tutta una serie di comparazioni e di intime e silenziose connessioni e collisioni, interagenti tra esse a più livelli, utili a cogliere e decifrare l’essenza più profonda dell’arte di Mimmo Sancineto: le sue preferenze, le sue propulsioni, le sue scelte e di conseguenza l’universo del suo pensiero. In poche parole: la sua personale concezione del mondo. Un paradigma oggi forse un po’ desueto, certamente abusato ma mai come in questo caso azzeccato.

Effettivamente, ribaltando modi e tempi, sistemando tutto nel rispetto delle giuste coordinate, capiterà, come succede quando si studia un artista del passato chiamato al ruolo di fiduciario per acquisti e collezioni nelle scelte artistiche di qualcun altro, di mettere a nudo i bandoli più reconditi del proprio pensiero artistico.

Compaiono, quindi, d’impatto, molteplici riferimenti alla cultura artistica italiana degli anni Sessanta e Settanta. Specificatamente, come è possibile evincere dall’esame della sua pittura, a quella impegnata sul fronte del recupero dell’esperienza figurativa messa allora in crisi dalle Avanguardie e dalle imperanti correnti dell’Astrattismo, dell’Essenzialismo e dell’Informale. Ma anche per l’esplicita e netta preferenza verso la materia e il ductus della pennellata. Liberata oramai dalla forma e divenuta essa stessa tale, sull’onda delle ricerche post-espressionistiche della Scuola Romana, apre il varco all’esaltazione del colore e delle superfici che lo trattengono.

Da qui il passo di Mimmo Sancineto verso il suo Bosco in inverno e i suoi Fiori d’acqua è molto breve, anche se appartengono alla produzione più recente e seguono in ordine l’evoluzione di quella precedente. Così come è breve anche se molto meditato il passo verso la Magna Grecia e i suoi segni. Una vera e propria antologia dedicata alla Calabria e alla sua storia, in modo particolare a Sibari e ai suoi muri, intesi non come semplici superfici da osservare ma come un vissuto, tra l’altro pure eloquente di quanto finora si è cercato di evidenziare in merito al rapporto con la sua terra.

Un’esperienza che si potrebbe definire lacerante, quasi come un urlo ripercosso dalla pelle, se solo e concettualmente, anche per la frazione di un attimo, I Segni della Magna Grecia di Mimmo Sancineto vengono virtualmente sovrapposti al passato della regione, qualunque sia, perduto e ritrovato, nel caso appunto recuperato attraverso una lunga e intensa attività di scavo archeologico, ancora in fieri. La dedica a Sibari è molto eloquente, giacché proprio da questa città dai tre nomi: Sybaris, Copia e Thouroi, trae origine l’inurbamento attuale dell’area della sua Piana, fino ai centri urbani delle falde del Pollino a essa prospicienti.

Non si ha certo la pretesa di recuperare e di tracciare qui le linee del percorso artistico di Mimmo Sancineto, altri meglio di me e con più competenza del mondo contemporaneo lo hanno già fatto in sedi e pagine diverse da queste. È stato tuttavia necessario coglierne alcuni fili e sviluppi per meglio sfogliare le Dieci tavole per Rossano che seguono.

Fili differenti e molteplici, per non dire innumerevoli e complessi, tanto sono difficili da raggruppare. Non da districare, però. Ci sono bandoli che si agganciano al suo rapporto pervicace con la Calabria - la sua terra - e con le tensioni culturali contemporanee vive in questa regione. Altri generati dai personali recuperi introspettivi del panorama artistico a lui attuale. Fili, inoltre, liberati da una caratteristica concezione della materia. Data quasi a colpi, a volte sfilacciata e con diverse trasparenze e addensamenti, quasi a suggerire la presenza di vari, seppure impalpabili piani della superficie dipinta, a volte inaspettatamente incisa come se si trattasse di un metallo sbalzato che per riflettere o restituire con maggior risalto la decorazione avesse bisogno di addensamenti d’ombra.

Insomma, sono tutti discorsi in itinere in certo qual modo utili per spiegare lo sviluppo artistico di Mimmo Sancineto e di afferrarne il singolare rapporto con il passato, come ancora proposto nelle tavole in mostra. Anche in questo caso il suo percorso non è unico e nemmeno raro. Molti prima e parallelamente a lui lo hanno seguito, sebbene con scopi ed esiti differenti e pure divergenti. Una strada certamente insidiosa, perché guardata con sospetto sia da chi si rivolge all’arte del passato sia da chi presta attenzione a quella contemporanea, storicizzata o attuale che si voglia. Specialmente se entrambi intendono l’assoluta estraneità e incompatibilità delle fonti. Nell’arte, invece, come finalmente acclarato dall’estetica è tutto un continuo fluire di forme, senza origine e senza fine.

Certo, grazie alle esperienze delle diverse correnti del Razionalismo originatesi dal tardo Settecento sino ai giorni attuali, si è consci che il passato è storia già fatta ma è altrettanto vero, perché quegli stessi movimenti culturali lo hanno evidenziato al pari di un rovescio della medaglia, che la storia esiste solo perché gli uomini la esplorano e la rigenerano, rendendone comprensibili i nessi con la propria realtà.

Tra le varie inclinazioni che gli artisti contemporanei hanno messo in luce del loro rapporto con l’arte del passato, quella di Mimmo Sancineto appare alquanto singolare, come chi lo segue da tempo ha già messo in evidenza cogliendone una sorta di mediterraneità della sua pittura. Nel caso specifico di queste Dieci tavole per Rossano tale contesto culturale e spirituale si fonde con un ulteriore tassello: non l’essenza o la suggestione, come avvenuto nei precedenti e già ricordati dipinti nominati I segni della Magna Grecia, bensì la presenza effettiva delle immagini che rievocano il passato di un luogo. Allora ecco il recupero personale, il d’apressè diventato contrassegno originale di una nuova introspezione essenzialmente visiva, pronta a generare ulteriori e inedite  impressioni. Le Dieci tavole per Rossano, quindi, non si contrappongono affatto ai dipinti realizzati per Sibari ma ne sono la più acuta continuazione.

Non solo perché la città calabrese jonica, stando agli studi più aggiornati, di Sybaris anzi di Thouroi dovrebbe rappresentare la continuazione geopolitica del pertinente territorio, sicuramente di quello afferente alla sua chiesa, nel passaggio dall’età classica e imperiale a quella della tarda antichità e poi specificatamente bizantina. Soprattutto, invece, per il forte legame formale stabilito da Mimmo Sancineto con le precedenti tavole dedicate alla città magnogreca, grazie al quale le suggestioni maggiormente coloristiche e grafiche di quelle si risolvono in rappresentazioni più discernibili, quindi definite. Si potrebbe anche dire, anzi è la prima cosa cui si pensa,  che queste tavole siano una sorta di omaggio a Rossano e alla sua storia, puntando l’attenzione sopra i suoi più celebri monumenti. Ciò, però, sembra riduttivo perché le dieci tavole non si limitano a celebrare cotanto fasto ma per certi versi lo infrangono da dentro per recuperarne momenti inediti e renderlo oggetto di nuove interpretazioni.

Rossano …la bizantina! Una città che è stata effettivamente tale nonostante le forti tensioni verso Roma, cioè verso l’occidente, le quali, come un filo rosso, ne hanno segnato la storia. Una città rimasta ferma nel suo rito greco-ortodosso fin quasi alla caduta di Costantinopoli, quando forse il suo clero e la sua gente comprese con la fine della città imperiale l’avvenuto tramonto di un’epoca impossibilitata oramai a ritornare o a risorgere, come invece accade al sole ogni mattina da oriente.

Rossano… la normanna! Una città indomita, fiera della suo passato, che resiste ai nuovi dominatori, come aveva ricalcitrato ad alcuni ordini di quelli precedenti, presumendo finanche di trattare la propria resa. Ottiene comunque non pochi privilegi. Una città che sembra voglia ad ogni costo salvare la sua storia.

Della Rossano bizantina e normanna rimangono non pochi segni e molto prestigiosi. Dal celeberrimo Rossanese - come denominato il Codice purpureo tra gli specialisti - all’affresco dell’Achiropita, vera e propria icona che trasmette il tipo mariano dell’Odighitria nel modello sopravvissuto attraverso la tavola romana di Santa Maria Maggiore, forse proprio quello primitivo costantinopolitano come sosteneva Margherita Guarducci. Dal medaglione aureo di San Teodoro oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria all’essenziale struttura del San Marco - forse realmente risalente alla ricostruzione della città dopo l’immane frana avvenuta nel decimo secolo e tramandata dalla Vita di san Nilo -, alla Panaghia e all’abbazia del Patire nella quale i normanni, riorganizzando secondo le norme e le abitudini latine le persistenze monastiche greche, danno vita a uno straordinario complesso in cui le ascendenze siciliane si colgono non solo nella sintesi architettonica ma anche nelle decorazioni delle absidi e nel pavimento musivo dell’interno, un tempo anche affrescato come tramandano antiche descrizioni. Un mosaico a rotae giustapposte, ognuna delle quali circoscrivente un animale, reale o fantastico, tratto dagli antichi bestiari. Gli stessi che avevano ispirato la decorazione del pavimento nella cattedrale da poco ricomparso in grandi e significativi lacerti musivi che ne fanno oltretutto comprendere la diversa e più libera disposizione ornamentale. Sono queste appena richiamate le opere su cui Mimmo Sancineto si sofferma e vuole che anche gli altri si soffermino.

Dedica due tavole al Rossanese. In una ripropone la miniatura in cui San Marco evangelista seduto in una grande sedia con schienale scrive sotto la diretta ispirazione della Sophia, vestita d’azzurro, che sembra quasi dettargli il testo e segnargli la corretta vergatura del rotulo aperto sullo scrittoio e scenograficamente svolto ad arco sopra le gambe. Circonda l’immagine, completa di tutta la struttura architettonica presente nell’originale - attentamente riprodotta -, una spessa superficie screziata, variegata dal bianco al rosa fino alla terra bruciata come un’iridescenza monocromatica, a momenti abbacinante, e sbiadisce il color porpora dei fogli del Codice originale assorbito dalla tinta rosata, data à plat, del nuovo fondo. Certamente non è solo questo che differisce. Il dipinto, benché replichi la miniatura benché non si sostituisce affatto a essa ma ne propone una suggestiva variante al di là di ogni tempo e di ogni spazio. Lo stesso si può dire avvenga per l’altra tavola, dove sono rappresentati, quasi ritagliati e appiccicati sul fondo rosa screziato e striato, come una pietra rosa non levigata, i busti dei profeti che nei fogli miniati del Codice reggono i cartigli e indicano l’avverarsi dei loro vaticinî nelle storie della vita di Cristo e nelle parabole da Lui raccontate illustrate nelle miniature soprastanti. Nella scena reinterpretata da Mimmo Sancineto mancano i cartigli e le miniature narrative, cosicché i profeti, risolti con tinte squillanti di azzurro e di giallo, sembrano galleggiare sulla superficie. E dato poi che sono otto e quelli posti alle estremità sono tangenti il limite del piano visivo sembrano riprodotti su una moviola fermata sul giro della manovella. Oppure su un ciclostile nel momento in cui li sta imprimendo su un foglio variegato di tinte. Non si vorrebbe osare più di tanto ma lampante è il riferimento alle innumerevoli riproduzioni del Rossanese da qualche tempo a questa parte, diventato manifesto turistico, cartellone panigiretico, copia faxsimilare e finanche logo. È quasi un monito avverso al bombardamento di un’immagine giunta al limite del rischio dell’esser fagocitata dalle campagne pubblicitarie e di diventare mero messaggio mediatico, contaminata da ripetutamente già visto e sul punto di perdere tutta la suggestione insita alla visione diretta. La sequenza degli otto profeti, in realtà, appare nel Codice purpureo su quei fogli dove le miniature che li presentano in gruppo di quattro sono affrontate e pertanto la visione è speculare.

Un processo del tutto simile, anche se con diversa risoluzione formale, si coglie nelle tre tavole dedicate ai predetti edifici del San Marco, della Panaghia e dell’Abbazia del Patire. Su grandi sfondi trattati con forti pennellate e spatolate sovrapposte, mettendo tinte su tinte, anche contrastanti ma di sicuro effetto - screziate come superfici di marmo di cui ne trattengono a volte le trasparenze -, è poggiata una sorta di istantanea fotografica. La ricerca di un delicato trompe-l’oeil espressa sia nella diversa resa pittorica, che nell’olio pare finga l’acquarello su carta, sia nel risalto dei bordi, come fanno comprendere le sottili linee scure di contorno a solo due profili per ognuna tavola. Ritorna l’ombra necessaria a dare certa rilevanza al particolare rappresentato. Un espediente certamente noto, cui si è abbastanza avvezzi ma nel caso utilizzato per il solo inganno stilistico, quanto piuttosto per catturare l’attenzione sull’attimo della fruizione.

Bella, tra tutte, è l’inquadratura e la resa formale del San Marco. Schematica e sostanziale, anche nell’accordo dei colori, quasi lineare e geometrica, che ben restituisce la caratteristica di un edificio fondamentalmente bizantino ma in gran parte contaminato dall’essenzialità cubica del Romanico.

Lo stesso si avverte nella restituzione delle tre abside del Patire, sulle quali Mimmo Sancineto si sofferma con un interesse analogamente teso sulla struttura architettonica e sul gioco dei piani più che la decorazione, la quale per la resa degli archi che ornano le tre prominenti absidi segue forme concise. Un gioco di rimandi in cui le immagini della visione diretta volutamente si sovrappongono nella memoria a quelle fotografiche più comuni, quasi da vecchie cartoline illustrate, cui per certi versi sembra soggiacere l’inquadratura. Tutto però è trasformato e reso sotto un’altra luce.

Nell’immagine della Panaghia, invece, si sofferma non sul totale esterno dell’edificio ma sul particolare più caratteristico dell’interno: la bifora con a fianco ciò che rimane dell’affresco raffigurante il Crisostomo. Un’immagine molto delicata, nella quale  per un attimo sembra cedere alla tentazione del decorativismo. Si guardino, quindi, l’equilibrato convergere delle linee e il loro rispecchiarsi una nell’altra: i semicerchi in ombra degli intradossi delle bifore e quello della stola attorno al collo del Santo, la piccola colonna che divide le arcate e la grande mancanza dell’affresco proprio sotto il rotulo con l’iscrizione canonica del Crisostomo. Per non dire poi della scelta dei colori, distillati uno a uno per rendere nella memoria la realtà vera, un po’ atmosferica della visione. La ripresa ravvicinata del particolare mentre da un lato restituisce il particolare taglio fotografico dell’immagine, quasi di fotogramma cinematografico, dall’altro si rivolge alla valorizzazione del frammento, cogliendolo e apprezzandolo compiutamente in quanto tale.

All’attenzione verso il frammento sono interessate anche le tre tavole dedicate ai mosaici. Ciò è possibile avvertirlo pure nella figura intera del centauro tratta da qual grande tappeto musivo della chiesa abbaziale del Patire, il quale, in fondo, non è altro che un particolare dell’insieme. Di nuovo ritorna il potere evocativo dei rimandi della memoria rivolto alla scoperta del segno grafico e alla dimestichezza con il particolare. Non è la memoria fatta di un insieme di frammenti di immagini che la facoltà mentale accosta per generare il pensiero? Se questa è la domanda allora si spiega perché anche nelle altre due tavole dedicate ai mosaici offre la parte più frammentaria degli stessi, comunque sintetica del tutto, come avviene per quello della Cattedrale, dove il frammento quasi crea una forma del tutto nuova e totale. Persuasiva in merito è la tavola raffigurante il leone dalla fluente criniera, la cui immagine è addirittura stravolta ma nello stesso tempo vivificata, ridotta a una maschera cubista fatta di tasselli, traducendo in tal senso le tessere irregolari del litostrato.

Questo processo di stravolgimento del dato formale offerto dalle opere d’arte del passato di Rossano, Mimmo Sancineto lo rende molto più evidente nelle altre due tavole: quella con il San Teodoro a cavallo e quella dedicata all’Achiropita. Per entrambe si ritiene faccia cogliere aspetti difficilmente percepibili sia per le ridotte dimensione sia per lo stato di conservazione.

La brattea diventa l’occasione per tirare fuori la vitalità più intrinseca del gioco delle linee nella costruzione dell’immagine. Del Santo cavaliere rimane solo il riferimento iconografico, mentre tutta l’inquadratura scelta per la rappresentazione un pretesto per rendere pittoricamente l’essenzialità schematica dello sbalzo. Pratica questa alquanto congeniale a Mimmo Sancineto che, per diverso tempo, è stato esperito insegnante di sbalzo e cesello negli istituti d’arte calabrese.

Nell’icona, invece, si coglie prontamente il recupero e l’evidenziazione di quel carattere corsivo, quasi di miniatura, che l’immagine trasmette. L’affresco, come è noto, si pone al centro di un interessante dibattito critico tendente a datarlo all’ottavo o al decimo secolo in base alle diverse fonti stilistiche e iconografiche indicatevi dalla critica, la quale ha pure messo in risalto le peculiari tangenze della resa pittorica a quelle degli scriptoria meridionali e specificamente rossanesi, come personalmente si sostiene. Un’opera quindi importante per l’arte calabrese e dell’intero Mezzogiorno medioevale. Nella singolare rielaborazione pittorica proposta da Mimmo Sancineto questo carattere, come detto, si afferra subito nel vigore dato alla linea e ai contraccolpi dei colori. Sono messi pertanto in giusta evidenza il vigoroso movimento del braccio destro della Vergine, il leggerissimo tre quarti del suo volto e di quello del Figlio e finanche il perfetto sedersi di Questi sul braccio sinistro della Madre. Elementi che irrompono nella ieraticità di riferimento della figura con una forza tale da stravolgere il senso che generalmente a essi si attribuisce, permettendo tra l’altro di capirne la genesi della rivalutazione formale e critica. Infatti, i forti segni con cui cono delineati i contorni dell’immagine e dei suoi particolari, specie dei volti, non devono essere intesi alla stregua di un semplice arcaismo ma sono un persuasivo tributo alla lezione del Cubismo e dell’Espressionismo che, come gli studi da tempo hanno messo in risalto e in questa tavola viene illustrato più che detto, tanto ha contribuito all’effettivo recupero critico dell’arte medioevale in genere e dell’icona in particolare.

Giuseppe Selvaggi - 1

(…) Toni Bonavita ha usato riferendosi a Sancineto la parola  “europeo” come raccordo e conclusione della partenza dell’artista dalla provincia del sud italiano.

Ha così rotto quell’imbarazzo che mi sarebbe derivato dall’essere da anni testimone della pittura di Sancineto e conterraneo per cui proiettare il lavoro di sancineto dall’umiltà della nostra provincia a sentimenti di cultura circolanti in europa, poteva sembrare una presunzione, una forzatura elaborata in casa propria.(…)

(…) Ed invece il più esatto ed esaltante modo di leggere entro questa pittura è proprio il trovarci quel filo  di protesta  meridionale che sta percorrendo il mondo, come un brivido nuovo e rinnovante. (…)

(…) Sancineto trovò nel muro chiuso una stupenda e drammatica finestra aperta. I cieli , i selciati e le figure del sud, pericolosi perché invitanti al bozzettismo sentimentale a sud di Napoli, lo hanno spesso attratto, ma l’artista ha avuto la sua calamita creativa portante alla parete del muro vecchio. (…)

(…) Il muro di Sancineto,una scoperta che potrebbe avere nell’artista coraggiosi sviluppi sulla tela, sino a diventare un segno di un movimento della storia e della protesta meridionali, acquista una polivalenza di simboli e comunicazioni: dalla disperazione (definibile sartriana) di chi nel muro che resiste vede la voglia di esistere, nonostante tutto. Ma un muro è un muro e nient’altro. Quello che l’intervento dall’artista lo fa diventare rientra in un duplice rapporto: dell’artista col quadro e della sua capacità poetica. (…) 

Giuseppe Selvaggi - 2

Roma, 1981

A seguire Mimmo Sancineto nel suo lavoro d’artista, anno dopo anno, viene subito da pensare: primavera dopo primavera. Perché la costante sua maturazione trova quasi un fisico rinnovamento stagionale che coloristicamente, coincide con ricerche (e, per la sua pittura, innovazioni), con scoppi e sviluppi che fanno appunto pensare ad una esplosione floreale. Primavera, quindi. Ora è avvenuto, con questa nuova stagione artistica di Sancineto, che i suoi muri, le sue strade dagli odori e toni che puntavano sui verdi bruni, e che drammaticamente indicavano fine, morte, e coincidevano nei colori in trasformazione dell’autunno, sono esplosi in una raggiera che ha come sottotinta, anche quando appare, un doloroso viola. Primavera, e fantasia sì, ma sempre con il cuore e gli occhi dell’ artista ancora radicati al dolore di un mondo che soffre. Cioè i muri di protesta restano. Aumenta la potenzialità della ricerca. Tutta questa nuova mostra, che allaccia il 1980 e il 1981 della carriera dell’ artista, diventa così una tappa positiva. Cioè rimane la vocazione del pittore a scavare, ma si rinnovano i mezzi, anche nella massa di materia impegnata sulla tela. Al primo sguardo questo aumento di narrazione per colori più aggressivi può sembrare evasione dalla precedente serie di quadri subito più drammatici. Ad una rilettura risulta che l’artista invece aumenta la capacità di narrazione del dolore del sud. Il sottofondo viola è una strana intuizione così come è mescolato ai gialli ed ai bianchi: un’aggiunta al dolore meridionale che questo nostro pittore riesce a tradurre in paesaggi. Il dolore meridionale non è forse in aumento, in Italia e nel mondo, dovunque la vita e la morte diventano sempre più difficili che altrove? Perché questa è l’universalità del sud, di cui Mimmo Sancineto, da artista e consapevole narratore.


Rome, 1981 - English version

We can just think: spring after spring if we follow the work of Mimmo Sancineto, year after year. We can see the spring like another season, an artistic season of Sancineto, that is the green in his walls and streets that in the dramatic way expressed ends and death, but now are blooming like a sunrise with million colours.

Springtime, and fantasy, but always with heart and eyes of artist, which are disgusted from pain’s world. Thus remain the walls of demarche, and augment the research’s potential.

This entire new exhibition, which starts on 1980 and 1981 become one important positive epoch. Thus remain the idea of artist to proceedings, but with new means.

At first when wee see this augment of narrow for colours much more aggressive, might seems an invasion from first series of picture.

The purple of view is one strange mixer with yellow and white that our painter may interpret in one strong message.

Mimmo Sancineto has the conception of life, the way that the life and death become more difficult, he knows the meaning of pain and people’ misery that is the same in whole world.

Gianfranco Labrosciano

LO SPAZIO APERTO DI MIMMO SANCINETO    

L’impasto corposo e la freschezza cromatica della tavolozza di Mimmo Sancineto, intrisa di una luce riverberata e immersa in una precisa regolamentazione della dialettica spazio-superficie, costituisce il linguaggio pittorico di questo artista, per il quale la forma viene dischiusa dalla materia, che la libera in una dimensione spontanea capace di metamorfosarsi e rinnovarsi. Dalla materia scaturiscono gli accordi di colore, di toni, di ombre e di luci che creano una sorta di spazio aperto e continuo in cui vibra un movimento reale e mentale. E’ un’opera in cui la concretezza e la massa degli impasti si affermano su puri valori astratti, sottraendo la pittura al dominio dello spirito, e perviene all’azzeramento del limite differenziale fra figuratività e astrazione in un informale che è cominciamento ambiguo e amplificante per il superamente del limite medesimo. C’è il gusto del dipingere e del plasmare contesti o frammenti di un universo virtualmente infinito e circoscritto nello spazio bidimensionale, di una smemorata “visione” di una visibilità; c’è  un ritmo di pieni e di vuoti che conferisce alla materia la realtà di una concertata assenza di immagini precostituite ma che diventa luogo di immagini successive e concatenate, c’è, nello scalare dei diversi piani e scansioni, una linea sottile e imprendibile che evoca quella di certi orizzonti irreali, inesistenti e impossibili. Il gusto di plasmare la materia si traspone nell’opera scultorea di Sancineto, vigorosa e impositiva, sempre mirata ad una concreta invasione dello spazio. Di natura impressionista, ancorata al reale, l’opera si fa “gridata”  e sofferta, e le figure, dai tratti alterati, rendono, plasticamente, il senso di una drammaticità diffusa e collettiva. E’ il caso della serie, bellissima, dei “Drogati”, dalle forme corpose e ripiegate in dettagli ciclopici, stravolti e travagliati da un male che li devasta e li consuma. O il caso, ancora più struggente, del “Cavallo morente”, in cui l’articolata invenzione della forma, strutturata nel gioco curvilineo e rettilineo degli elementi, dà pathos all’animale, che sembra sublimarsi in uno spirito urlante, infernale e inquietante; ne risulta un grido che si squama, in un’invocazione disperata, come se fosse un’impennata d’orgoglio in una sequenza mortale. E’ un’opera, questa, un procedimento di sovrapposizione della materia fino all’esasperazione. Ma è comune il senso della tragedia imminente e ineluttabile. Direi, per concludere, che nell’opera pittorica di Mimmo Sancineto c’è una ventata di freschezza e un afflato di vita ribaltati su un piano fantastico, in quella scultorea la fredda razionalità di una dimensione angosciosa, oggettiva e immutabile.   

Isabella Laudadio

IL PROFUMO DELLA VITA

Dimenticando il cardo quale causa di morte per Dafne, dalla quale la Terra, addolorata, fece nascere fiori spinosi, Mimmo Sancineto ha voluto, per così dire, riabilitare questo fiore selvatico dedicandogli una mostra personale. Ha osservato molto attentamente questo miracolo della natura in modo ravvicinato nelle sue molteplici varietà di forme e di colori e ne ha studiato i caratteri. Antropomorfizzando la forza propria dei cardi che fioriscono e prosperano nei terreni più inospitali e nei climi più aridi, ha attribuito loro caratteristiche e “comportamenti” tipici dell'essere umano: come il cardo eleva il suo fusto ed i suoi rami verso il sole, resistendo al vento, alla pioggia e a tutti gli insulti dell'ambiente e conservando l'integrità e la bellezza dei suoi rossi e dei suoi gialli, così l'uomo, fronteggiando e superando mille difficoltà, continua a vivere con dignità e coraggio realizzando i suoi progetti esistenziali.

I colori fermati sui dipinti virano dai più tenui e dalle sfumature pastello a quelli più decisi: con i rossi sanguigni, i cobalto, i viola scuri e tutte le relative sfumature, l'Artista, metaforicamente, rappresenta le passioni e le turbolenze dell'animo umano, ma anche la delicatezza e la fragilità dei sentimenti più profondi.

I colori, usati sapientemente, sono spesso resi più corposi e plastici attraverso l'utilizzo di stucchi ed impasti che materializzano i soggetti rappresentati quasi come in un bassorilievo: anche questa tecnica contribuisce alla rappresentazione di un fiore dotato di una forza e di una vitalità straordinarie. Impastate ai colori, le sue crete, spalmate con morbide ma energiche spatolate, raccontano proprio questo: al di là delle spine, simboli della necessità di difendersi e di offendere, questi cardi, dai cuori vivacemente colorati, hanno comunque il “profumo della vita”.

Ed è con questa immagine che l'artista consegna il suo specialissimo ed insolito bouquet a chi ha voglia di andare oltre l'apparenza per cogliere sostanza e significato.


English version

Mimmo Sancineto described his Calabria in his exhibition in Rome: “Scritture nello spazio” (Writings in space), at Palazzo Venezia, in the Refectory Hall, organized under the sponsorship of the Ministry of the Environment, represented at the vernissage by Mr.Aldo Cosentino.

The opening was very well attended and it was “honoured” by the presence of Mr. Claudio Strinati, the Curator of Roman Museums and Monuments. In his speech he underlined how long and hard the artist’s work is, so that he can get the right balance and coherence that are absolutely necessary to make his message, in this case his pictorial message, “credible” and universal at the same time.

“Scritture nello spazio” is the “story” of a life devoted to painting and sculpture as well, used to describe a “difficult” Calabria, where the protection of the natural environment, of the Pollino National Park, of the flora and fauna, and the improvement of the local culture are in contrast with some negative messages that mass media give about this region. So, the desire to get out of a limiting regionalism and to communicate positiveness is a “leitmotif” of primary importance.

Mimmo Sancineto perfectly knows that it’s really difficult to pursue this aim; he has known it for over forty years, since he has started describing by paintbrushes and colours what he lovingly calls: “his native country”. Like every serious artist, but, particularly, like someone who is guided by a real inspiration, he has always learnt and experimented new techniques, he has felt the joy of discovering the brightness of Mediterranean colours. Actually, the colours he paints really exist, as they are inspired by his emotions.

At first, his choices were cautious, (sometimes he drew his inspiration from impressionism), and from his masters : Andrea Alfano and Emilio Greco, but, later on, those choices, however present they are, as regards the contents and meanings, have evolved.

This painting isn’t mannered, rather, it’s extremely realistic. Even if its shapes are abstract, less and less recognizable and nearly virtual, it becomes “legible” only if we use our sensibility and our hearth. That’s the only way of reading just the messages that have inspired the painter during his life, both in his first realistic period and in the recent one, that is more abstract and of matter.

In the Roman exhibition there is love and anger, faith and sadness, joy and fear, a mixture of feelings “written” through amazing colours, that the artist spread on the canvas with a paintbrush, but more frequently with thick spatula strokes that give an almost tridimensional volume and stir up deep emotions at the same time.

There is no lamentations about cultural alienation in South Italy and no dejection, but vital and cathartic energy in painting only joy of living.

The exhibition, open to the public until 4th of April 2005, has been dedicated to the memory of the art critic and journalist Giuseppe Selvaggi.

The graphical project has been signed by Flavia Zacà and Sandro Sancineto, that have mounted the exhibition and prepared the catalogue as well.

Adriana De Gaudio

I cardi di Mimmo Sancineto

Dopo un susseguirsi di mostre in note città italiane, che hanno ottenuto esiti positivi di valutazione critica, Mimmo Sancineto, a distanza di molti anni, espone nella sua Galleria d’Arte, a Castrovillari, un’affascinante personale monotematica: I Cardi.

L’Artista, puntando su un unico tema, ha sfidato il rischio di cadere in un refrain monotono e ripetitivo, rischio che ha abilmente evitato, grazie all’abilità tecnica che gli ha permesso di creare avvincenti “sinfonie” cromatiche, mediante la variazione dei colori, forti nel timbro e armoniosi nella partitura dei toni, fino a ottenere sfumature delicate e trasparenti.

Una pittura espressionista, che pur traendo ispirazione dalla natura, non la imita, ma la ricrea nell’interiorità di una visione del tutto personale. Eliminando la tradizionale prospettiva, Sancineto scandisce in profondità lo spazio pittorico tramite larghe spatolate, giustapponendo sulla tela dense zone di colori corposi. Tra i piani cromatici si elevano i “suoi” cardi. Prodotto della terra, il cardo, pianta erbacea delle Composite, con fusto e foglie spinosi, produce fiori a capolino di colore rosso, lilla, viola, giallo. Esistono diverse specie di cardo, Sancineto dimostra di averne una conoscenza approfondita.

Come mai il maestro calabrese predilige tra i tanti fiori e frutti che la natura offre proprio il carciofo selvatico?

Sancineto sceglie il cardo forse perché è un ortaggio secolare, molto diffuso anche nella nostra terra. Nell’antichità il cardo aveva un duplice significato: positivo e negativo. Nel primo caso, considerando che la pianta, una volta spezzato il frutto, ritornava a fiorire, simboleggiava una vita lunga e vigorosa. Nel secondo caso sovviene l’inesorabile sentenza di Dio, quando Adamo, dopo essere stato cacciato dall’Eden, si sentì dire : “Spine e cardo produrrà per te la terra” (Genesi 3,18) nel senso che per procurarsi il cibo l’uomo, da allora in poi, avrebbe dovuto soffrire e subire dure prove.

Nel Nuovo Testamento il cardo, poiché ha fusto e foglie spinosi, assume significato cristologico, rimanda alla Passione e alla corona di spine, posta dai soldati di Pilato sul capo di Cristo.

Sancineto in alcuni dipinti evidenzia le spine e le punte sporgenti del filo spinato entro il quale e anche oltre svettano i coloratissimi cardi. In filigrana egli riesce a veicolare l’eterno dissidio tra il bene e il male, inoltre fa percepire la precarietà della bella stagione nel raffigurare i cardi rinsecchiti, privi di colore; in questo caso l’impasto grigiastro si fa ancor più ispido.

In tante altre tele le spine invece scompaiono, i fiori si vedono nell’esilità dell’infiorescenza, nella carnosità delle foglie, nei singoli capolini. Le splendide tele raffiguranti i cardi senza spine attestano un messaggio di luce e di speranza. Gli sfondi azzurri, verdi, rosati, rossi, gialli, arancio fanno riacquistare al cardo il primitivo significato di buon auspicio contro il flusso delle forze negative. In virtù del suo carattere solare, l’Artista è portato ad esaltare il bene e il bello di una natura inventiva e incontaminata.


La Magna Graecia e i suoi segni

nella pittura di Mimmo Sancineto

2006

Dopo le più recenti a Roma e Pescara, il maestro calabrese Mimmo Sancineto sceglie come terza tappa espositiva il Museo di Sibari, ricco di  preziosi reperti archeologici  della Magna Graecia, la cui arte ispira una serie di opere della sua ultima produzione. Alcune di queste specchiano, nel contempo, anche un forte legame con il territorio del Pollino.

Dai dipinti in mostra si evince il rapporto che Sancineto crea tra arte-storia-natura, espresso con un linguaggio e una tecnica, volti a valorizzare forma e colore in un’operazione di sintesi concettuale. La storia non va intesa come narrazione di eventi bellici, ma come citazione archeologica. In alcuni dipinti compaiono, infatti, “presenze” di reperti monumentali: Il tempio di Hera, detto delle Tavole Palatine a Metaponto, la Colonna superstite del Tempio di Era Lacinia a Capo Vaticano. In altre composizioni Sancineto ritrae figure simboliche (il cavallo, il toro, ad esempio), le quali rimandano al repertorio iconografico dell’antica Sibari, figure simboliche  costruite con tecniche miste in forme corpose ed aggettanti, di memoria arcaica (Vedasi “ fregio” con cavalli e cavalieri, oppure la figura del toro, ripresa più volte con vigorosità volumetrica). Nell’operazione di costruzione e di scavo sulla superficie pittorica della tela, l’artista recupera la manualità di scalpellino che ha dato inizio alla sua produzione scultorea giovanile.

Pur non rinnegando la figurazione, Sancineto s’indirizza verso l’astrazione formale, forse per esigenza d’innovazione stilistica. Non come gli artisti greci, i quali, perseguendo l’ ideale di perfezione classica, sfuggono la realtà e cercano l’assoluto nella purezza astratta delle  forme geometriche. Sancineto supera la ripresa dal vero mediante l’elaborazione mentale dell’oggetto, che è il nostro territorio, scegliendo particolari segni che lo connotano nei colori caldi e solari. Questi, posti sulla tela con larghe ed energiche spatolate giustapposte, spesso “risuonano” nel timbro come onde impetuose sulla superficie piatta, per poi improvvisamente arrestarsi ai margini del quadro. Nei vari paesaggi marini si ha la sensazione di percepire l’impasto cromatico come magma incandescente, che  tracima infuocato. Per conseguenza, più intrinseco si avverte il rapporto simbiotico del pittore con la natura, la quale, anche senza la presenza umana, manifesta l’afflato dell’Anima mundi.

Nella serie delle Stagioni la primavera è quella che più registra  i nuovi stimoli visivi ed emotivi dell’artista. Un gioco fantasmagorico di colori intensi rende vivi i dipinti, irrorati dalla luce bianca. Splendidi anche le tele con i cardi, tipici fiori della nostra zona. Qui la pasta cromatica, pur densa, lascia spazio a passaggi tonali e a trasparenze luministiche brillanti.

Richiamano l’attenzione, nella panoramica delle opere, i muri, tema prediletto dall’artista.

Nella prima produzione di Sancineto i muri sbrecciati delle case dei paesi calabresi sottintendono la denuncia di una condizione esistenziale disagiata del proletariato, nella recente sequenza, invece, i muri sono magistrali prove d’ autore, paradigmi di una ricerca d’effetto tecnico nell’abbinamento contrastante dei colori che si fondono con la luce, la quale agisce in profondità e in superficie, creando tensioni senza fine (Muro striato; Muro in giallo verde; Muro in viola; Muro in giallo con riflessi verde,ecc).

Un registro cromatico quanto mai vario che, assecondando la variazione degli stati d’animo dell’artista, testimonia l’impegno di una vita, impiegata al servizio devoto dell’ arte.


Symbols of Magna Grecia

2006 - English version

In the pictures of Sancineto it seems obviously the relation between art-story-nature that is pronounced with a different language, with colours and conceptual syntheses. The story isn’t just a place for the past event like an obelisk, but the story is city of archaeology. In various pictures discovered a presence of mythology monuments. Temple of Hera, Tavole Palatine aMetaponto, the Column of Hera temple.

Sancineto use other symbols like horses, bulls which remember us the antic time.

Sancineto is directed ahead formal symbols, different by Greek artist which wants the ideal or perfection, and abandon the reality and search the absolute in the abstract puritan of geometric shapes.

Sancineto runs away original conception of figures, choosing special signs which expressed with warmly colours, full life.

In the Sancineto pictures have the impression to perceive the colours mass like a subtrahend magma which takes all of things that are on the way.

Sancineto is a lover of nature and the seasons, but the spring is his favourite. Is a colours game which makes pictures lifelike, and full of white shine?

Greats are the pictures with cardi the flower of our country, and the pictures of walls, the favourite of artist.

In the first product of Sancineto, house walls show the combination of the proletarian situation, but now walls are the proof of author, paradigm of one technical research, with colours mix with light, which is in superficies and on the deep.

(Press wall, yellow green wall, purple wall).

This is a chromatic book, influenced by author mood, testimonial of a life dedicated art.

Tonino Sicoli

Una pittura mediterranea

Mimmo Sancineto è un pittore della natura, di una natura nascosta, semplificata, fatta di luce.

Lembi di terra corrono come binari di colore, come strade pigmentate a delineare territori, che si stagliano alla vista, distesi e abbandonati. Egli abbozza campi e litorali, con fasce di mare e con strisce di cielo. La luce si materializza sotto i colpi di pennello e di spatola, che allungano il campo visivo in senso orizzontale o verticale.

Allora sono gli alberi e gli arbusti o la pioggia a ritmare verticalmente la scena,  picchettata di vegetazione o di acqua, attraversata da flash di sole.

Un'atmosfera dorata accompagna lo sguardo su una realtà che si sfalda e libera vibrazioni dell'aria, energia visiva, brusio cromatico.

I dettagli si perdono in una pittura a macchie minute e scaglie multicolori, rigata, in trame di un arazzo naturalistico, dove tutto è impressione d'insieme. Nastri verdi come fili d'erba, screziati di rosa o di giallo o di blu scorrono in sequenze compatte e piene di  briose pennellate. Si incrostano pigmenti e sedimentano in chiazze di colore  come in campi verdissimi o in cieli turchini, in cui le tamponature di colore creano effetti macro-divisionistici.

Prati come tessuti, immagini di organismi biologici in divenire, formazioni filamentose che potrebbero essere anche sottomarine. Sancineto è un pittore informale, che mantiene del paesaggio le suggestioni cromatiche, siano alberi o vivida vegetazione del sottobosco. Pennellate come steli di piante o come canne che svettano nella loro fitta aggregazione.

Altre volte egli veste di muschi  i muri, striandoli e vergandovi sopra segni d'iride, storie di graffi e di concrezioni, come stratificazioni antiche;  intonaci scrostati, che scoprono gli strati sottostanti; oppure superfici bruciate e annerite in monocromi scuri.

Incrostazioni di pittura densa e grumosa tracciano inquadrature da zoom su particolari di un mondo magmatico e solare. Sono i ritmi della materia ad essere accolti in sequenze dinamiche, fatte però di dinamismo interno, dove  strisce verticali creano accelerazioni visive. A descrivere il paesaggio, invece, vengono usate bande orizzontali larghe e tremule, che richiamano le striature dei campi e diventano flussi di colore come fiumi e corsi d'acqua. E poi cascate di luce e pozze variopinte, che giacciono in forre o si disperdono in tanti frammenti cristallini. Tutto si scompone e si rigenera in campiture monocrome o in atmosfere brillanti, che danno forma ad una espressività primitiva e spontanea.

Così Sancineto percorre la sua strada di pittore di lungo corso, che ha attraversato varie stagioni e che è approdato da qualche anno ad una pittura immediata e mediterranea, che non riproduce la natura ma ne coglie gli aspetti organici, ne plasma il divenire,  ne indaga i processi più invisibili.

E' come se i suoi quadri ritagliassero tasselli di texture, trame continue, che potrebbero proseguire benissimo oltre i bordi; sembrano anche pezzi di stoffa dipinta con motivi indefiniti di origine naturalistica, con sgranature, che fanno pensare a tessuti etnici, dalle decorazioni primitive, dalla struttura elementare e, soprattutto, coloratissimi.

In queste tele si colgono riferimenti tribali ma anche fruscii di derivazione elettronica: dalla consunzione de tempo, che screpola e patina le superfici, agli scrosci elettromagnetici e alle interferenze televisive, che rigano le immagini e fanno perdere loro definizione in un effetto nevischio che disturba le risoluzione.

Sancineto è un pittore antico, che si immerge nell'indefinitezza del nostro tempo, in una percezione, che si lascia  alle spalle figure riconoscibili per addentrarsi in astratte visioni, per farsi sedurre da  magiche atmosfere e intime sensazioni.