L’ARTE DI MIMMO SANCINETO COME MESSAGGIO DI LIBERAZIONE
Mimmo Sancineto è uno che ha scelto di rimanere. Alla lusinga del facile e prorompente successo ha preferito la consapevolezza del proprio ruolo nella terra due volte sua, per nascita e per elezione. Sicché sin dall’inizio ha deciso di essere un operatore culturale, uno stimolatore di coscienze, un promotore di attività concretamente dirette a togliere dal letargo non solo i più larghi strati popolari delle nostre cittadine della Sibaritide, ma anche, e soprattutto, fior d’intellettuali di provincia, paghi della loro Gazzetta, della consolidata fama di saggi, e della lettura estiva del romanzo premiato, regolarmente giunto in ritardo nella libreria-bazar del paese. I mezzi escogiatati per procedere sulla spinosa strada sono diversi, alcuni subito caduti, altri ancora resistenti, tutti fruttuosi, comunque.
Basti pensare alla Galleria d’arte “Il Coscile”, vero centro culturale, ai premi di pittura, alla stampa di libri rari, alla presentazione di opere importanti, alle celebrazioni periodiche del pittore A. Alfano, ad Alternativa Sud, e alla sua pittura.
Ho citato in coda la pittura semplicemente perché per Mimmo Sancineto essa non è solo strumento operativo, è pure, e soprattutto, vocazione, nata con la sua mente, i suoi occhi, le sue mani, e maturata attraverso la fatica di vivere i propri, giovani anni colmi di desideri in una terra che raramente li appaga.
L’uomo si porta per sempre dentro i luoghi ed i fatti della sua infanzia. Tutto ciò che vede, che impara, lo filtra attraverso la griglia delle sue prime esperienze, e vede ed impara solo quello che attraverso tale filtro gli appare interessante. La città del Sellaro è terra di pastori-contadini, di rocce grige stratificate e degradate, di campi resi verdi dalla fatica dell’uomo che inventa ogni giorno la possibilità di vivere ancora domani, di sopravvivere nella concreta realtà del bisogno. L’emigrazione per sfuggire ad una vita di stenti, il desiderio giustissimo di dare ai figli un futuro meno duro, la civiltà industriale, hanno cambiato in parte il volto socio-economico di Cerchiara. Ma i moduli culturali sono sempre lenti ad evolversi e, nonostante i rivoluzionamenti tecnologici, l’uomo non sembra restare ancora quello di prima, e generazioni occorrono per modellare schemi mentali e comportamentali al progresso scientifico e tecnologico che, intanto, continua ad avanzare freneticamente.
Sicché ancora oggi è possibile segnalare la presenza della giovane coppia che usa con sicurezza molti strumenti della tecnologia avanzata e che ha avuto esperienze culturali notevoli nella necessaria vita di lavoro in terra straniera, e avverte tuttavia il bisogno di apporre la maschera apotropaica sulla porta della nuova casa, così come facevano i nonni, forse senza avvertire i significati nascosti e la funzione protettiva, ma con la certezza di aver adempiuto un gesto rituale dovuto.
In questa comunità seriamente minacciata dalle sollecitazioni endogene ed esogene, da avvertite necessità di cambiare e migliorare, da messaggi massmediali ferocemente deculturanti, e tuttavia resistente e non facile alla disgregazione, Mimmo Sancineto matura la sua esperienza di giovane attento agli uomini e alle cose, alle urgenze ed ai bisogni, agli accumuli ed alle tensioni, organizzando quei codici culturali che dopo le necessarie sperimentazioni e esercitazioni per affinare le capacità tecniche ed espressive, riemergono possenti nella stagione dei muri, quel particolare modo artistico e politico insieme d’interpretare e presentare il Sud.
Sui muri si è appuntata l’attenzione della critica. Di essi sono state fornite le più disparate chiavi di lettura che hanno dato risultati diversi, talora opposti, tutti riducibili, tuttavia, alla complessa problematica meridionale, ed alla volontà e capacità di Sancineto di rinarrarla per sollecitare negli altri una vigile attenzione ai fatti sociali attraverso la fruizione del godimento estetico di un’opera d’arte. Sancineto è stato così definito il pittore dei muri. Ma non ci si è accorti che in quei quadri non ci sono solo muri e strade bianche di solitudine. Ci sono porte e finestre e balconi. Ed è dietro quelle finestre, quelle porte, quei balconi serrati che si avverte l’operosa presenza dell’uomo, tuttavia assente figurativamente. All’aggressione proteiforme del mondo tecnologico, l’uomo si chiude nel proprio spazio culturale, rifunzionalizza comportamenti e schemi di riferimento assopiti, riprende antiche ritualità quotidiane. Così soggetto della pittura di Sancineto è proprio l’uomo che, braccato dall’avanzare di modelli culturali sicuramente più avanzati, ma sentiti alieni, è costretto ad asserragliarsi fra muri sicuri, e vive assediato dentro la sua casa-rifugio, propiziando sogni di libertà e salvezza.
E la redenzione, come nelle antiche religioni misteriche, è nelle stagioni, nell’abbraccio della coppia, nella terra feconda. Come per miracolo una primavera perenne sembra far lievitare il mondo. Colori vivaci dilagano per i campi, inturgidendo la natura che esplode nella festa dei prati e degli uccelli che volano. E compare l’uomo. Ma non sulla tela. Nella scultura sì. Nella materia l’uomo si fa presenza concreta che può essere toccata, afferrata, accarezzata, palpata per seguirne le forme ed avvertirne le interne, sottili vibrazioni. Nel suo ritorno alla terra, nella sua fede nella natura, la coppia dell’uomo ritrova l’essenza vitale, e si libera da condizionamenti e restrizioni. Si pone nuda di fronte alla natura, si fa natura nella riappropiazione della ritrovata innocenza e della riacquistata libertà.
L’uomo redento di Mimmo Sancineto è l’uomo acculturato che non ha dimenticato la terra. Gli insidiosi processi di deculturazione hanno condizionato, ma non hanno fatto frenare la sua speranza e la sua ansia di ricerca. Ecco perché, dopo lo smarrimento, l’uomo ritorna ad essere se stesso. La disperazione e la rivolta, probabilmente adombrate nelle stagioni dei muri, non prendono il sopravvento.
L’uomo ha capito che il segreto del riscatto è in se stesso. Le lagnanze e le attese degli altri non pagano. Il ritorno alla terra e alla festa liberatoria della natura vuole essere proprio il ritorno al territorio della propria cultura da cui cogliere le gemme salvatesi dalla desolazione e ancora turgide di vita, la ritrovata fiducia nella propria dignità di uomo, la composizione del suo lacerato essere maschio e femmina, la consapevolezza del suo far parte della natura e del suo diritto di utilizzare vecchi e nuovi strumenti per confermare la sua umanità, e non per abbruttirsi nella soggezione al falso progresso che inganna e uccide.
E’ importante sottolineare che il suo messaggio più significativo e culturalmente più utile, Sancineto lo affidi alla scultura, lo esprima, cioè, attraverso la manipolazione della materia, attraverso il contatto diretto con un elemento della natura, la creta, che trasforma ed utilizza ai propri fini. E questo probabilmente perché, con la manipolazione della materia, concretizza di fatto il suo rapporto uomo-natura, e con il ritorno alla scultura chiude il primo lungo ciclo della sua esperienza artistica per riaprirne un altro che non sia diverso dal primo, ma che del primo sia anzi continuazione e naturale evoluzione. Egli ha cominciato con la scultura, ad essa attratto naturalmente dalla pietra, famosa, del suo paese.
Cerchiara è terra di pastori-contadini, e di tagliatori di pietra. Il padre di Sancineto è scalpellino. Mimmo apprende da lui l’arte di interagire con la materia per trarne le forme e le funzioni volute. Approdato in altri luoghi e passato attraverso una diversa esperienza artistica, Sancineto si porta sempre e comunque dentro la cultura della terra nativa che ora riemerge, lo riconduce alla scultura, e nel circolo che si chiude Mimmo Sancineto si conferma uomo della sua terra con intelligenza aperta all’universale movimento di libertà e salvezza.
MIMMO SANCINETO’S ART AS MESSAGE OF LIBERATION
Traduzione di Nicola Pierro - English version
Mimmo Sancineto matures his experience of a young artist who is attentive to men and things, urgencies and needs, accumulations and tensions, by organizing those cultural codes that, after being experimented and exercised to refine the technical and expressive skills, come out powerfully in the season of walls, that particolar way of interpreting and portraying the south.
The attention of critics has directed towards the walls. They gave completely different explanations but all of them leading to the complicated meridional issue, and to Sancineto’s will and capability of retelling it to make others interested in social issues through the enjoyment of an artwork. Sancineto has been named the wall painter. But they didn’t notice that in his paintings there aren’t only walls andwhite roads of solitude. There are doors, windows and balconies. It’s behind those closed windows, doors and balconies that you notice the laborious presence of man even if figuratively absent. Being attacked by a proteiform technological world, man closes in his own cultural space, redefines behaviours and related schemes almost asleep and takes again his ancient daily rituals.
So the subject of Sancineto’s painting is man. A man who is hounded by undoubtley advanced cultural models felt as alien. A man who is obliged to barricade himself in safe walls and live besieged in his house refuge, propitiating dreams of freedom and salvation.
The redemption is in the embrace of the couple, in the fertile soil, as in the ancient mysterious religione. A perennial spring seems to make the world rise by miracle. Bright colours spread over the fields making nature swell and bloom in the feast of meadows and of flying birds. Then man turns up. Not on canvas but in sculpture. In the concrete matter man becomes a presence that can be touched, seized, given a caress, felt to follow his shapes and feel his interior and subtle vibrations. The couple finds again his vital essence and gets rid of conditionings and restrictions by returning to earth and having faith in nature. They face nature naked and become nature themselves by taking again their found innocence and acquired freedom.
The redeemed man of Mimmo Sancineto is the cultivated man who hasn’t lost remembrance of earth. The insidious processes of deculturation made man adapt to them, but they didn’t stop his hope and his anxiety for research. That’s why, after bewilderment, man begins to be himself. Desperation and revolt, probably overshadowed in the wall season, won’t get the upper hand over him.
Man realized that the secret of redemption is in himself. The complaints and expectations of the others don’t pay. The return to earth and the liberating feast of nature are meant as the return to the territory of his own culture from which he gathers the buds saved from the desolate land but still full of life. It means faith in his own dignity of man, composition of his torn apart male and female being, consciouseness of his taking part in nature and his right to use old and new instruments to confirm his humanity and not to make himself brutal by submitting to false progress which betrays and kills.
It’s important to underline that Sancineto entrusts his most significant and culturally useful message to sculpture and expresses himself by manipulating the matter, clay, that he transforms and finds a use for his own purposes.
That is probably why, Sancineto, by manipulating the matter, makes his relationship man-nature concrete, and with his return to sculpture he closes his first long cycle of his artistic experience to re-open another one which is not different from the first, but it is its continuation and natural evolution. He started with sculpture, attracted to it, naturally, by his country famous stone