Nuovi traguardi della pittura di Mimmo Sancineto
Con quelle che da Giuseppe Selvaggi negli anni ’80 furono definite Le stagioni Mimmo Sancineto iniziava una nuova sperimentazione pittorica dando in tal modo un diverso corso alla sua pittura, che a ben vedere, tuttavia, presentava, e presenta ancora, non pochi intrecci con le sue precedenti esperienze artistiche.
Questo lo si dice per sottolineare la coerenza di un percorso, che seppure iniziato negli anni ’60 con dipinti, la cui intonazione realista realizzata con impasti tardo seicenteschi soddisfaceva la scelta di soggetti originati da una precisa origine culturale – Ritorno dai campi del ’62, Emigranti del ’63, Raccoglitrici di olive del ’69 - andava comunque precocemente evolvendo per successiva decantazione di quegli stessi soggetti e della materia pittorica che li costituiva.
Mi spiego: non è che Sancineto all’improvviso abbia voluto dimenticare di essere ciò che è, ovvero il prodotto di una certa realtà culturale come quella calabrese, con cui peraltro intrattiene fortissimi legami oltre che come artista anche come gallerista ed editore; ha voluto se mai dare ai soggetti che gli erano, e gli sono propri, la voce di un individuo narrare della sua terra cercando sempre nuovi linguaggi espressivi, più personali e certamente meno stereotipizzati.
Sono nati allora i Muri di Calabria, che probabilmente coniugando, lui che nasceva autodidatta, la frequenza dell’Accademia napoletana con l’acquisizione di orizzonti culturali più ampi , ne hanno favorito l’aggiornamento pittorico su formulari più distesi, graficizzati e chiari, capaci di ridurre all’essenza un discorso, che pur sempre implicito ma privato della presenza umana, lo ha portato a suggerire più che denunciare certe realtà comunque esistenti , nell’assenza dell’uso di qualsivoglia retorica, troppo spesso abusata dai più.
Nuove frontiere narrative, queste, fatte di una pittura intima, di citazioni appena suggerite, di vicoli ciechi che non approdano a nulla, come in certe prospettive sbieche alla Rosai da lui aggiornate sui colori mediterranei. Belle sono anche alcune nature morte di gusto primitivista e chiarista da poetica delle piccole cose, realizzate con terracotte locali messe in posa, come in Natura morta del ’65, e di fiori secchi dai colori tenui, come in Natura morta dell’80.
Ma Sancineto è sperimentatore instancabile, tanto più che i primi apprezzamenti in tal senso risalgono al ’62 quando a Cosenza presentava, riscuotendo consensi, opere su iuta e supporti metallici delle pubblicità dei gelati, queste ultime probabilmente risentendo delle coeve ricerche di Rotella, che già da anni andava inserendo nei suoi decollages frammenti di lamiere strappate per la strada dalle impalcature portanti dei manifesti pubblicitari.
Con Le stagioni citate, proseguendo nel solco di una ricerca materica originata spesso dalla necessità di usare ciò che si poteva, reperendolo anche tra i materiali più umili, inizia un nuovo ciclo pittorico fatto di materie addensate e di alte paste cromatiche che fa da ponte con la produzione scultorea dell’artista. Su di essa non ci soffermeremo in questa occasione perché l’ interesse contingente è la pittura di Sancineto: tuttavia non si può prescindere dal constatare che i nuovi traguardi raggiunti dalla sua pittura, oltre Le stagioni, con le opere degli anni ’90 e quelle più recenti dal 2000, risolti con smalti, prodotti industriali e tecniche miste affiancati ai materiali più tradizionali, non possono prescindere dall’analoga sperimentazione scultorea in acciaio e ferro, malgrado essa risulti circoscritta agli anni ’60 e ’70.
Questi nuovi dipinti sono dunque, evidentemente, il risultato di un lungo percorso in itinere: recuperata la matericità degli esordi e il plasticismo della scultura, da Sancineto da sempre affiancata alla pittura come esercizio costante della forma, interesse probabilmente originato dalle sue origini scalpelline a Cerchiara, da qui, da questo nuovo connubio, scaturisce l’origine dei suoi nuovi quadri.
La ripresa informale della pittura che così si riscontra rigenera i Muri di Calabria, dall’artista ora citati solo per parti. Il frammento, la parte per il tutto, spariti i vicoli e le prospettive sbieche, focalizza qui l’interesse solo sulla materia spatolata, viva e intensa che impronta di sé, non mancando a volte certe suggestioni alla Scialoia, superfici estremamente brillanti.
Il discorso pittorico ormai decantato in un processo che ha progressivamente raggiunto l’astrazione rigenera anche Le stagioni, nel frattempo divenute i paesaggi di questa mostra a Palazzo Venezia. Spesso realizzati con strisce di colore lavorate con orditi e trame diversificati della materia a simulare profondità altrimenti inesistenti, risultano ormai lontanissimi dai paesaggi castrovillaresi degli Archi della Civita.
Quello che prevale oggi è l’estraneità narrativa dei suoi dipinti, o quantomeno l’estraneità ad una ben precisa narrazione. I paesaggi hanno perso le connotazioni particolaristico territoriali – il Sud della sua terra – per esprimere significati estesi coglibili negli elementi cosmico circolari presenti in alcune opere, o nelle diagonali riscontrabili in altre, ispirate, forse alla lontana, al profilo suggerito dalle sue montagne. Paesaggi, questi, riassuntivi del concetto stesso di paesaggio, che per questo perde ogni identità rapportabile a precise individuazioni geografiche. Non più paesaggi della memoria rivisitati realisticamente, essi sono oggi solo spazio mentale, aprospettico, graficizzato e nello stesso tempo plastico, fatto di colori antinaturalistici, a volte aggrumati, come quelli di certi Muri odierni, riconvertiti da quelli antichi, a cui oggi l’artista affida racconti che sono solo universali. Sui quali Sancineto appone adesso la sua firma per esteso con una grafia intenzionalmente infantile e ludica come a volere marcare visivamente i territori della sua nuova pittura.
English version
New goals in Mimmo Sancineto’ painting
In the Eighties Mimmo Sancineto started a new pictorial experimentation that Giuseppe Selvaggi called “The Seasons”. Actually, he gave rise to a different course of his painting that presented, and still presents, anyway, a lot of connections with his previous artistical experiences.
This is said to underline the coherence of his artistic carreer that started in the Sixties with some paintings of realist inspiration made of a late seventeeth-century mix of colours -- “Back from the fields (1962)”, “Emigrants (1963)”, “Olives pickers (1969)” – that went on evolving and decanting those subjects and their pictorial matter nevertheless.
However, it’s right to say that Sancineto didn’t suddenly forget his origins, his cultural background, his Calabria, where he still works as an artist, as a manager of an art gallery, as a publisher; but he wanted to tell about his country looking for new expressive languages, more and more personal and, of course, less stereotyped.
That’s how the “Muri di Calabria (Calabria Walls)” were born, when the artist that had studied, first as an autodidact and then at the Art Academy in Naples, opened his mind to wider cultural horizons, to new and clearer pictorial and graphic forms, by which he suggested and drew attention to some real and sometimes difficult situation of his country, without any rhetoric.
So, his painting became more intimate, made of only suggested references, with blind alleys coming to nowhere, like in some sloping perspectives, in the manner of Rosai, that he enriched thanks to the Mediterranean colours. Let us mention too, his beautiful still life works, that the artist made with local terracotta, like in “Natura morta (Still Life)” of 1980.
But Sancineto is a tireless experimenter. He achieved his first success, in this sense, in1962, in Cosenza, where he presented some works painted on jute and on metal placards used for ice creams advertising. At this time Sancineto, probably, was influenced by Mimmo Rotella, an artist that in his “decollages” used to put pieces of metal sheets pulled out from the supporting frameworks of advertising placards.
With the above mentioned “Seasons”, carrying on his research about materials, often due to the necessity to use what it was easy and possible to find, even among the simplest materials, Sancineto started a new pictorial cycle made of thickened matters and chromatic mixtures of colours, acting as a go-between for the artist’s sculptural production.
On this occasion, however, we are more interested in Sancineto’s painting than in his sculpture, even if we must underline that the new goals achieved by his painting, in his more recent works, where the artist has used enamels, industrial products mixed with more traditional materials, are closely connected with his similar sculptural experimental works in steel and iron, even though they are limited to the Sixties and the Seventies.
Probably, Sancineto’s interest in sculpture came from his experience as a stone-cutter in Cerchiara, his birthplace, and, therefore, his new paintings are clearly the result of a long artistical research where he has constantly put sculpture and painting together.
The “Muri di Calabria (Calabria Walls)” are, now, revitalized by this informal renewal of painting: they are still present, but only in fragments; the alleys and the sloping perspectives have disappeared, the artist’s interest is mostly centred on the bright and intense spatular matter that leaves its mark on extremely bright surfaces.
Sancineto’s painting has changed now, gradually getting to abstraction, so that “The Seasons”, in the meantime, have become the landscapes of this art exhibition at “Palazzo Venezia”, in Rome. They are often made of stripes of colour painted with different warps and wefts of the matter to give the idea of deepness. It is evident that these landscapes are very far from the first ones that represented some views of Castrovillari.
Actually, these landscapes have lost any particularistic territorial connotations – the South of his country – to express wider meanings. They summarize the very concept of landscape that, for this reason, cannot be referred to precise geographical characterization. They aren’t realistic memory landscapes any more; today they are only a mental space, out of perspective, where graphic and plastic elements are predominant. They are made of antinaturalistic colours, sometimes thickened like the ones we can see in the present “Muri (Walls)”, that derive from the ancient walls that , now, the artist has made universal.
Now, Sancineto signs his name in full on these paintings, with an intentionally childish and ludic handwriting, as if he wanted to emphasize and to visualize the areas of his new painting.