Gianluigi Trombetti

Mimmo Sancineto nasce a Cerchiara di Calabria, paesetto posto a terrazza dominante l’ampia pianura dove verso l’ottavo secolo a. C. i coloni greci sbarcarono, forse attratti dalla bellezza del luogo, così contornato da alte montagne, ricoperte da lussureggianti faggete e con le cime imbiancate dalle nevi per buona parte dell’anno, dove pensarono potessero abitare anche  gli dei come Apollo, o forse attratti dalla fertilità della terra ricca di sorgive, solcata da diversi corsi d’acqua e dove vivevano allo stato brado dei buoi grandi e mansueti.

Nel luogo prescelto, vicino alla foce di un fiume che darà il nome  alla città  o viceversa?, fondarono quella che nel corso di breve tempo diventerà un centro potente, sinonimo di ricchezza e di costumi raffinati: Sibari.

La vita della prima città non fu lunghissima: la sua ricchezza venne presto in invidia agli altri popoli che la attaccarono e la distrussero. Ma come l’araba fenice rinacque dalle sue ceneri, forse ancora più bella e le sue strade  diritte e spaziose subirono i dettami urbanistici di Ippodamo da Mileto. Poi  vi furono ancora guerre e la cultura greca venne via via trasformandosi in quella romana e in quella veste vide gli albori del cristianesimo per decadere poi velocemente inghiottita dalle acque salmastre delle paludi, che solo da pochi decenni  e con grande sforzo stanno restituendo frammenti di colonne e portici, teatri e templi e qui e là qualche brandello di superbe sculture.

Da quella nativa terrazza Sancineto ha osservato e assimilato i colori e le forme di tutto quello che ricadeva sotto le sue percezioni, siano essi alberi, erbe, acqua, terra, cielo, siano essi opera dell’uomo o delle divinità: case, templi, chiese, ruderi nascosti dal capelvenere o dai roveti, rottami di un mondo che non è più e che aspettavano di poter attirare l’attenzione di qualcuno  che riuscisse a colloquiare nella loro stessa lingua.

Sancineto certo non poteva comprendere appieno il loro muto messaggio ma ne coglieva spesso l’essenza spirituale e la preghiera di poter tornare  ad essere protagonisti.

Ecco quindi nascere quei “muri di Calabria” che tanta fortuna hanno dato all’artista, imponendolo alla critica più autorevole ed a un vastissimo pubblico.

Oggi quei “muri” mostrano una diversa consistenza ideale e cromatica, non più cadenti, residui del passato, testimoni di dolore ed emarginazione, sconquassati dalla natura violenta del nostro Sud, ma eredi consapevoli di una cultura gloriosa che  è stata le fondamenta della civiltà moderna.

Nei suoi dipinti Mimmo Sancineto offre rielaborate visioni di quella cultura, dalle colonne di Metaponto a quella, solitaria sentinella, del tempio di Era Lacinia a Crotone; dal teatro di Sibari ai muri in opus reticulatum già prettamente romani di Copia e anche oltre quando appare  la celeste patrona di Castrovillari il cui santuario affonda le sue radici in un sostrato pagano dedicato forse a Persefone, divinità cara ai contadini alla quale si offrivano in dono statuette votive e monete incuse di Sibari recanti il possente toro retrospiciente. Ed è questo toro che spesso appare in altre composizioni di Sancineto, ora nella classica  posa monetale, ora cozzante come nella stupenda rappresentazione venuta alla luce con il ritrovamento recente di un’opera bronzea di superba forza espressiva anche se frammentaria.

In questi due modi l’artista lo riproduce  su pannelli in cui l’elemento figurativo si sussegue più volte con leggerissime varianti, quasi fotogrammi di un lento film.

In una sezione diversa della mostra Sancineto ritorna alla natura rigogliosa o aspra della sua terra e anche qui  la formula figurativa dei primi periodi ha lasciato il passo alla sintesi ed a una tecnica in cui il colore è anche materia compositiva, dato a pesanti spatolate grinzose e stratificate tanto da  suggerire quasi l’impressione di bassorilievi. E sono  solo i colori-forma a dare l’idea a creare, colori che nella nostra mente prendono la parvenza di campi di grano,  delle verdi praterie primaverili,  delle gialle distese di stoppie in cui ci sembra ascoltare l’assordante frinire delle cicale, dei rossi e marroni campi  preparati per la semina con sullo sfondo il cielo e il mare che si fondono senza più una linea di confine in un infinito senza tempo.

Lo stesso azzurro infinito che hanno visto i greci colonizzatori.  Lo stesso azzurro infinito che Mimmo Sancineto  ha visto e fatto suo dall’aerea terrazza di Cerchiara ed ora magicamente ripropone tra le preziosità del Museo di Sibari.