Vincenzo D'Atri

Mimmo Sancineto al di fuori del mondo pittorico

Due premesse innanzitutto in questo mio intervento che mi riprometto di mantenere in termini brevi.

Innanzitutto quello che riguarda il periodo al quale risale la mia amicizia con Mimmo Sancineto. Quando l’ho conosciuto Mimmo Sancineto era già un artista, aveva già vinto la fase più difficile della battaglia che egli aveva intrapreso il giorno in cui, dalla sua Cerchiara di Calabria, aveva deciso di trasferirsi a Castrovillari capoluogo del Pollino e delle genti del Pollino.

L’altra premessa è collegata alla prima: non parlerò di Mimmo Sancineto pittore ma soltanto ed esclusivamente di Mimmo Sancineto che io ho imparato a conoscere ed apprezzare anche e soprattutto al di fuori del mondo che pure per lui è il più congeniale.

Perché, sebbene la mia amicizia con Mimmo Sancineto non va o forse va molto poco oltre il decennio, io ritengo di essere riuscito a conoscere ed apprezzare il carattere, le più profonde aspirazioni di Mimmo nel corso dei certamente non frequenti ma indubbiamente cordiali, calorosi incontri con lui.

Il primo di questi incontri l’ho volutamente cercato proprio in questa zona e proprio in uno di questi caldi pomeriggi di agosto. Una notizia di Castrovillari pubblicata dal quotidiano messinese, del quale curavo la redazione cosentina, riferiva di una mostra organizzata a Bagamoio di Sibari da Mimmo Sancineto, direttore della galleria “Il Coscile”.

Di Mimmo Sancineto, di quanto aveva fatto e di quanto continuava a fare per avviare prima ed incrementare poi iniziative culturali a Castrovillari, avevo sentito parlare più volte.

Inizialmente - devo confessarlo - non aveva sollevato in me forti entusiasmi. Non erano trascorsi, infatti, molti anni da quando avevo lasciato Castrovillari, la mia Castrovillari, allontanandomi dai problemi, dagli affanni, dalle aspirazioni di sempre.

Già negli anni liceali e successivamente in quegli universitari, con certi coetanei avevamo in più riprese cercato di avviare in una città che, culturalmente ormai viveva solo di ricordi, iniziative che potessero far uscire la nostra cittadina da uno stato di continuo anonimato. Ricordo, tra le altre iniziative, la “Giovane Calabria del Pollino”, voluta dall’indimenticabile Don Peppino Bellizzi; ricordo un circolo d’azione intitolato ad un altro illustre uomo d’azione, “Michele Bellizzi”; ma nell’uno e nell’altro caso non eravamo riusciti a smuovere, purtroppo, l’apatia dei nostri concittadini e soprattutto dei nostri amministratori.

Era, dunque, più che naturale questo mio scetticismo iniziale, che però tendeva ad accostarmi sempre più alle notizie sull’attività di Mimmo Sancineto e della galleria “Il Coscile” che apprendevo soprattutto attraverso le colonne della Vedetta alla quale apparteneva ed appartiene un pezzo della nostra vita ed il cui vuoto nella società castrovillarese continuo a considerare incolmabile.

Così, un pomeriggio di agosto, sono andato incontro a Mimmo Sancineto per conoscere non solo il giovane artista ma anche e soprattutto questo giovane che sembrava stesse riuscendo ove altri avevano fallito.

A quell’incontro ne seguirono altri nel corso dei quali sono andato sempre più convincendomi che Mimmo Sancineto rappresentava per i giovani, soprattutto di questa zona sempre più emarginata, frustrata nelle sue aspirazioni, un esempio da imitare. Perché - diciamolo francamente - Mimmo Sancineto avrebbe potuto anche decidere di andare ad ingrossare le file dei nostri emigrati. 

Ed invece, attaccato ed innammorato come sempre si è rilevato della sua terra, ha voluto restarci e tenacemente ha messo a frutto tutte le sue capacità, tutte le sue energie vincendo la sua battaglia contro questo Sud carico di disoccupazione e di incomprensioni e che sembra precludere ai nostri giovani ogni possibilità di sopravvivenza.

Ma Mimmo Sancineto non si è detto soddisfatto nel momento in cui è riuscito ad assicurarsi un posto di rilievo nella società castrovillarese come non si è fermato quando, ottenuto il posto di lavoro, si è assicurato i mezzi per sopravvivere.

Mimmo Sancineto ha voluto continuare a lavorare per gli altri, per quella città che lo aveva accolto. E’ sceso nella breccia aprendo la galleria “Il Coscile”, realizzando così una aspirazione che negli anni quaranta era stata dello stesso maestro Andrea Alfano; poi è stato tra i protagonisti della costituzione di Alternativa Sud che a Castrovillari ha rappresentato quasi una corrente artistica, ponendosi come punto di riferimento, fucina non solo di giovani, ma di tutto un movimento culturale che nella cittadina del Pollino non aveva altre espressioni.

Ha così potuto continuare a portare avanti la sua battaglia culturale ospitando nella galleria “Il Coscile” personali e collettive di artisti che altrimenti a Castrovillari non avrebbero avuto possibilità di esprimersi, di farsi conoscere (e non solo artisti se si pensa che nella galleria sono stati presentati libri e opere di autori giovani o già affermati).

Mimmo Sancineto ha vinto un’altra ma importante battaglia: quella del recupero e della sistemazione delle opere di Andrea Alfano. In tale direzione, anche e soprattutto a livello romano, si è battuto con tanta passione il collega Giuseppe Selvaggi al quale vanno non pochi meriti per l’azione che ha portato avanti, ma era necessario che a Castrovillari - contrariamente a quanto avvenuto nel  passato - qualcuno tenesse costantemente vivo l’interesse della pubblica opinione e soprattutto degli amministratori locali sul problema. In tale direzione Mimmo Sancineto ha svolto un ruolo di primo piano, stimolando anche a curare servizi radiofonici e televisivi, e gli altri colleghi giornalisti castrovillaresi che hanno pubblicato diversi articoli sul recupero delle opere di Alfano.

In questa sua battaglia Mimmo Sancineto ha trovato al suo fianco un’amministrazione comunale, quella presieduta dall’avv. Gianni Grisolia, particolarmente sensibile anche verso i problemi della cultura, pur in assenza di un intervento della Regione, che, già ferma in altri settori, è completamente inattiva in quello delle iniziative culturali.

Se, dunque, è anche questo l’artista Mimmo Sancineto, bene hanno fatto l’amministrazione comunale presieduta dal sindaco Gaetano Pistocchi e la Pro Loco del Sellaro, presieduta dall’ing. Antonio Vancieri, a dedicargli questa seconda edizione della Rassegna Culturale di Cerchiara.

L’impegno da assumere, a conclusione di questa manifestazione - e credo che in tal modo avremo veramente capito il significato dell’opera di Mimmo Sancineto - dovrà essere quello, logicamente soprattutto da parte di chi in politica conta (gli amministratori qui presenti, con il sindaco di Castrovillari, lo stesso presidente dell’EPT di Cosenza, dott. Francesco Lo Polito), di adoperarsi perché a questi nostri giovani Calabresi venga data non la semplice promessa, non la semplice speranza di poter realizzarsi in quelle che sono le proprie naturali tendenze e capacità. Il nostro impegno e quello dei politici dovrà essere quello di assicurare che, un domani prossimo, i giovani come Mimmo Sancineto possano restare nella loro terra per meglio difenderla ed onorarla.

Ivana D'Agostino

Nuovi traguardi della pittura di Mimmo Sancineto

Con quelle che da Giuseppe Selvaggi  negli anni ’80  furono definite Le stagioni Mimmo Sancineto iniziava una nuova sperimentazione pittorica dando in tal modo un diverso corso alla sua pittura, che a ben vedere, tuttavia, presentava, e presenta ancora, non pochi intrecci con le sue precedenti esperienze artistiche.

Questo lo si dice per sottolineare la coerenza di un percorso, che seppure iniziato negli anni ’60 con dipinti, la cui intonazione realista realizzata con impasti tardo seicenteschi soddisfaceva la scelta di soggetti originati da una precisa origine culturale – Ritorno dai campi del ’62, Emigranti del ’63, Raccoglitrici di olive del ’69 - andava comunque precocemente evolvendo per successiva decantazione di quegli stessi soggetti e della materia pittorica che li costituiva.

Mi spiego: non è che Sancineto all’improvviso abbia voluto dimenticare di essere ciò che è, ovvero il prodotto di una certa realtà culturale come quella calabrese, con cui peraltro intrattiene fortissimi legami oltre che come artista anche come gallerista ed editore; ha voluto se mai dare ai soggetti che gli erano, e gli sono propri, la voce di un individuo narrare della sua terra cercando sempre nuovi linguaggi espressivi, più personali e certamente meno stereotipizzati.

Sono nati allora i Muri di Calabria, che probabilmente coniugando, lui che nasceva autodidatta, la frequenza dell’Accademia napoletana con l’acquisizione di orizzonti culturali più ampi , ne hanno favorito l’aggiornamento pittorico su formulari più distesi, graficizzati e chiari, capaci di  ridurre all’essenza un discorso, che  pur sempre  implicito ma  privato della presenza umana, lo  ha portato  a suggerire più che denunciare certe realtà comunque esistenti , nell’assenza dell’uso di qualsivoglia retorica, troppo  spesso abusata dai più.

Nuove frontiere narrative, queste, fatte di una pittura intima, di citazioni appena suggerite, di vicoli ciechi che non approdano a nulla, come in certe prospettive sbieche alla Rosai da lui aggiornate sui colori mediterranei. Belle sono anche alcune nature morte di gusto primitivista e chiarista da poetica delle piccole cose, realizzate con terracotte locali messe in posa, come in Natura morta del ’65, e di fiori secchi dai colori  tenui, come in Natura morta dell’80.

Ma Sancineto è sperimentatore instancabile, tanto più che i primi apprezzamenti in tal senso risalgono al ’62 quando a Cosenza presentava, riscuotendo consensi, opere su  iuta  e supporti metallici delle pubblicità dei gelati, queste ultime probabilmente risentendo  delle coeve ricerche  di Rotella,  che già da anni andava inserendo nei suoi  decollages frammenti di lamiere strappate per la strada dalle impalcature portanti dei manifesti pubblicitari.

Con Le stagioni citate, proseguendo nel solco di una ricerca materica originata spesso dalla necessità di usare ciò che si poteva, reperendolo anche  tra i materiali più umili, inizia un nuovo ciclo pittorico fatto di materie addensate e  di alte paste cromatiche che fa da ponte con la produzione scultorea dell’artista. Su di essa non ci soffermeremo in questa occasione perché l’ interesse contingente è la pittura di Sancineto: tuttavia non si può prescindere dal constatare che i nuovi traguardi raggiunti dalla sua pittura, oltre Le stagioni,  con le opere degli anni ’90 e quelle più recenti dal 2000, risolti con smalti, prodotti industriali e tecniche miste affiancati ai materiali più tradizionali, non possono prescindere dall’analoga sperimentazione scultorea in acciaio e ferro, malgrado essa risulti circoscritta agli anni ’60 e ’70.


Questi nuovi dipinti sono dunque, evidentemente, il risultato di un lungo percorso in itinere: recuperata la matericità degli esordi e il plasticismo della scultura, da Sancineto da sempre affiancata alla pittura come esercizio costante della forma, interesse probabilmente originato dalle  sue origini scalpelline a Cerchiara, da qui, da questo nuovo connubio, scaturisce l’origine dei suoi nuovi quadri.

La ripresa informale della pittura che così si riscontra rigenera i Muri di Calabria, dall’artista ora citati solo per parti. Il frammento, la parte per il tutto, spariti i vicoli e le prospettive sbieche, focalizza qui  l’interesse solo sulla materia spatolata, viva e intensa che impronta di sé, non mancando a volte certe suggestioni alla Scialoia, superfici estremamente brillanti.

Il discorso pittorico ormai decantato in un processo che ha progressivamente raggiunto l’astrazione rigenera anche Le stagioni, nel frattempo divenute i paesaggi di questa mostra a Palazzo Venezia. Spesso realizzati con strisce di colore lavorate con orditi e trame diversificati della materia a simulare profondità altrimenti inesistenti, risultano ormai lontanissimi dai paesaggi castrovillaresi degli Archi della Civita

Quello che prevale oggi è l’estraneità narrativa dei suoi dipinti, o quantomeno l’estraneità ad una ben precisa narrazione. I paesaggi hanno perso le connotazioni particolaristico territoriali – il Sud della sua terra – per esprimere significati estesi coglibili negli elementi cosmico circolari presenti in alcune opere, o nelle diagonali riscontrabili in altre, ispirate, forse alla lontana, al profilo suggerito dalle sue montagne. Paesaggi, questi, riassuntivi del concetto stesso di paesaggio, che per questo perde ogni identità rapportabile a precise individuazioni geografiche. Non più paesaggi della memoria rivisitati realisticamente, essi  sono oggi solo spazio mentale, aprospettico, graficizzato e nello stesso tempo plastico, fatto di colori antinaturalistici, a volte aggrumati, come quelli di certi Muri odierni, riconvertiti da quelli antichi, a cui oggi l’artista affida racconti che sono solo universali. Sui quali Sancineto appone adesso la sua firma per esteso con una grafia intenzionalmente infantile e ludica come a volere marcare visivamente i territori della sua nuova pittura.


English version

New goals in Mimmo Sancineto’ painting

In the Eighties Mimmo Sancineto started a new pictorial experimentation that Giuseppe Selvaggi called “The Seasons”. Actually, he gave rise to a different course of his painting that presented, and still presents, anyway, a lot of connections with his previous artistical experiences.

This is said to underline the coherence of his artistic carreer that started in the Sixties with some paintings of realist inspiration made of a late seventeeth-century mix of colours -- “Back from the fields (1962)”, “Emigrants (1963)”, “Olives pickers (1969)” – that went on evolving and decanting those subjects and their pictorial matter nevertheless.

However, it’s right to say that Sancineto didn’t suddenly forget his origins, his cultural background, his Calabria, where he still works as an artist, as a manager of an art gallery, as a publisher; but he wanted to tell about his country looking for new expressive languages, more and more personal and, of course, less stereotyped.

That’s how the “Muri di Calabria (Calabria Walls)” were born, when the artist that had studied, first as an autodidact and then at the Art Academy in Naples, opened his mind to wider cultural horizons, to new and clearer pictorial and graphic forms, by which he suggested and drew attention to some real and sometimes difficult situation of his country, without any rhetoric.

So, his painting became more intimate, made of only suggested references, with blind alleys coming to nowhere, like in some sloping perspectives, in the manner of Rosai, that he enriched thanks to the Mediterranean colours. Let us mention too, his beautiful still life works, that the artist made with local terracotta, like in “Natura morta (Still Life)” of 1980.

But Sancineto is a tireless experimenter. He achieved his first success, in this sense, in1962, in Cosenza, where he presented some works painted on jute and on metal placards used for ice creams advertising. At this time Sancineto, probably, was influenced by Mimmo Rotella, an artist that in his “decollages” used to put pieces of metal sheets pulled out from the supporting frameworks of advertising placards.

With the above mentioned “Seasons”, carrying on his research about materials, often due to the necessity to use what it was easy and possible to find, even among the simplest materials, Sancineto started a new pictorial cycle made of thickened matters and chromatic mixtures of colours, acting as a go-between for the artist’s sculptural production.

On this occasion, however, we are more interested in Sancineto’s painting than in his sculpture, even if we must underline that the new goals achieved by his painting, in his more recent works, where the artist has used enamels, industrial products mixed with more traditional materials, are closely connected with his similar sculptural experimental works in steel and iron, even though they are limited to the Sixties and the Seventies.

Probably, Sancineto’s interest in sculpture came from his experience as a stone-cutter in Cerchiara, his birthplace, and, therefore, his new paintings are clearly the result of a long artistical research where he has constantly put sculpture and painting together.

The “Muri di Calabria (Calabria Walls)” are, now, revitalized by this informal renewal of painting: they are still present, but only in fragments; the alleys and the sloping perspectives have disappeared, the artist’s interest is mostly centred on the bright and intense spatular matter that leaves its mark on extremely bright surfaces.

Sancineto’s painting has changed now, gradually getting to abstraction, so that “The Seasons”, in the meantime, have become the landscapes of this art exhibition at “Palazzo Venezia”, in Rome. They are often made of stripes of colour painted with different warps and wefts of the matter to give the idea of deepness. It is evident that these landscapes are very far from the first ones that represented  some views of Castrovillari.

Actually, these landscapes have lost any particularistic territorial connotations – the South of his country – to express wider meanings. They summarize the very concept of landscape that, for this reason, cannot be referred to precise geographical characterization. They aren’t realistic memory landscapes any more; today they are only a mental space, out of perspective, where graphic and plastic elements are predominant. They are made of antinaturalistic colours, sometimes thickened like the ones we can see in the present “Muri (Walls)”, that derive from the ancient walls that , now, the artist has made universal.

Now, Sancineto signs his name in full on these paintings, with an intentionally childish and ludic handwriting, as if he wanted to emphasize and to visualize the areas of his new painting.

Ulrico S. Montefiore

Paesaggi trasfigurati, violentati poeticamente quasi. Ancora tersi paesaggi attraversati da uccelli veloci e come storditi di trovare tanta luce.

Ancora paesaggi con “muri” della sua Calabria...

La mia attenzione continua a fermarsi su alcune terracotte che lui continua a tenere in disparte, quasi non facessero parte degli argomenti trattati.

Mi sono accorto che è pudore il suo. Ci vuol poco a capire come in queste opere modellate con l’argilla l’anima di Sanciento si sia messa a nudo.

- Hanno qualcosa che intenerisce - dico scandendo deliberatamente le sillabe; in effetti sto cercando parole adatte ad esprimermi in maniera meno approssimata.

Lui ascolta il mio silenzio; poi aggiungo:

- Non supponevo si potesse accarezzare il corpo della Madre-terra con tanto tenerezza - (sono contento di essermi ripreso) ed aggiungo ancora:

- Mentre guardavo queste terracotte, questo atto del vivere, mi è venuto di pensare al figulo dell’antichità, sempiterno mediatore, creatore ed operatore, il factor dei simulacri da rituale, l’artefice di segrete catàlisi di tipo religioso e mistico.-

L’uomo e gli Dei in relazione effettiva, intendo. Questo mio porre l’accento su cose lontane e certo attuali, sembra divertire Sancineto, anzi sorprenderlo.

Lui che si crede contadino e figlio di uomo di cava, con l’illusione in aggiunta, del puro, del nuovo, dell’incontaminato dalla cultura.

Forse lui non lo sa bene, ma un retaggio parla della sua voce, preme dal dentro con l’urgenza di un pronunciamento patriarcale e da distanze che si misurano in ere geologiche.

Possiede quella verità che si veste di tagli, di pieghe, di tutti quei chiaroscuri che l’argilla trattiene fra i segni lasciati dalle dita, la sapienza del tattile e dell’allusivo, del ricordo, della dichiarazione aperta, del sottinteso.

Sono tutte cose che non si possono improvvisare, questo è chiaro. Sedotto dagli stessi pensieri che mi si assiepano fra gli occhi, guardo e medito. Il godimento artistico, da estetico che sembrava, acquista ora sonorità e ricordi.

L’associazione delle idee amplifica l’originario suggerimento, la Madre-terra partorisce i suoi stessi sogni. Poi abbiamo continuato a parlare, senza mirare a conclusioni, come si fa tra artisti, colorando delle più sottili sfumature ipotesi tanto imprevedibili quanto pregne di chiaro lirismo.

- Il figurinista più antico e del quale conosciamo il nome è Terah - azzardo io - padre di Abramo, di Nahor, e di Haram. Modellava statue votive o forse immagini di rito per consultazioni di carattere domestico, fors’anche agricolo.-

Questo suggerimento non ci convince ma Sancineto si mostra più che mai divertito dalla piega assunta da una conversazione evidentemente tanto inutile.

Lo vedo però pensieroso.

- Ho trovato! - ripeto - il nostro uomo è Tubal, della stirpe antidiluviana di Caino, figlio di Lamech e Zillah; Tubal, il padre di ogni artigiano, indicato anche come l’iniziatore della metallurgia, l’autentico homo faber a pensarci bene.-

Dopo la divagazione intellettuale torniamo alle sue magnifiche terracotte; quasi scherzando abbiamo forse identificato la genesi dell’artefice Sancineto.

Sono i “modellati”, più che altre sue opere, a riempire degnamente quella distanza che separa la cultura propriamente paesana da quella non scevra di ogni sorta di significati interiori.

Esegue queste opere quasi senza rendersi conto di svolgere un compito eroico.

- Mi riconosco in questi lavori - confessa alla fine - essi sono il criterio col quale misuro il resto delle mie iniziative. Tentenna ancora; pudore ho chiamato tale reticenza. E questa volta sono io ad attendere pazientemente quello che c’è dietro il suo silenzio.

- Modellando io interrogo - dice alfine - e quanto ne derivo a volte è bizzarro: mi riesce di manipolare senza tuttavia imprigionare quanto nell’argilla è implicito. Liberare un sogno, piuttosto, subito dopo averlo evocato.-

Attendo il seguito; ora sono ansioso.

- Credi si porti l’argilla al fuoco solo per quel breve intervento che possa assicurare longevità al manufatto?-

Attendo di conoscere una verità filosofica che ancora mi sfugge. Eppure ho già tanto appreso dalle sue parole; cos’altro può aggiungere lui che non ama le metafore?

- Il fuoco è l’epilogo di un grande dramma tellurico, l’atto di nascita di cose che provengono da gestazione lunga e solenne. L’essere contadino, come dicevo poc’anzi, garantisce la consapevolezza che l’opera con la terra è in simbiosi, ma anche in metamorfosi. - Conclude così.

Ma Sancineto, veramente, ha già segni chiari di non sentirsi la stessa persona. Ha capito che viene da molto lontano. Ed in attesa di precisarsi le origini sa che è portatore di un privilegio: è fra quei pochi che sentono ancora il mistero posto sin dall’inizio, quello della Madre-terra vergine, e genetrice, culla e cella per sepoltura, ma soprattutto specchio e matrice di ogni cosa che sa manifestarsi vitale in ogni luogo ed in ogni tempo.


English version

The view with walls of Calabry. My attention is addressed through his work, and  I saw his  naked soul,  In fact I’m seeking a right word to say  what I  feel. He listen my silence

I didn’t now that it was possible to cares the body of Mother – Land. When I saw his work,  this side of living  I thought for antiquity  and the  mystic  secret, the god and man in one relationship I saw the faraway and closer things   That are things which beatifies  Sancineto. He believes in man like son of the land with illusion for purity, and for culture.

Maybe he doesn’t now, but one voice speaks for him by inside, with one emergency for one patriarchal expression, by faraway which measure in geological era.

He is possessor of this true which can smashed like argil which can smash when fingers touching her.

This are the things that can’t be improvise, this is clearly. Attract by the thoughts, close my eyes and meditate, the artistic pleasure, they had just aesthetic form win now memoirs.

Association of ideas improves original conception, Mother –Land give   birth her self dreams.

After we have talk haven’t deduce anything like used between artistes, talking about everything.

The older modeller is called Terah - I have the courage- he is Abraham, Noah, and Haram’s father, he frame statues, or images of ritual for consult of character. 

But I see a little pensively

I find it – I say- our man is Tubal, Cain Lamech and Zillah’s son. Tubal is father of every handicraftsman, he is called like initiator of metallurgy.

After that I can say that I have understood the origin of Sancinetos’art.

His work fill this empty space which separate the rural culture from this civilized. Doing this creation he without understanding, did one heroic job

- I’m my self in these creations said he at last – they are the standards that I measure my enterprises, - and after silence…. But now I’m whose understand his silence.

- With this models, did you mean? – He said - sometimes is bizarre, she can manipulated me, meantime in argil is so implicit, and I can leave my dreams free after I have finished this creation.

I confess to know one philosophy true. I have learned too much from him.

The fire is the epilogue, of tellurian tragedy.

Being a villager guarantee the conscience that the creation and the land is in symbiosis, but in metamorphosis too.

But Sancineto have the sign to feels that he doesn’t is anymore the same persons. He has understood that he come by far way, and have a mission, he listen the mystery of Mother – Land.

Francesco Sicilia

Le suggestioni pittoriche e le immagini del Sud d’Italia, e in particolare della Calabria,  Regione  ricca di patrimonio artistico, archeologico ed  etnoantropologico, trovano una preziosa convergenza nell’opera di Mimmo Sancineto, a conferma del nesso, inscindibile e dialettico, fra la cultura nella sua più ampia accezione e le espressioni artistiche che ne sono la diretta immagine.

L’artista è infatti integrato, al di là della diversità degli stili e delle forme, ad una fitta rete di raccordi culturali spesso non immediatamente percepibili ma che ne costituiscono lo sfondo, il completamento e la fonte di  ispirazione.

I dipinti del Maestro Sancineto sono ispirati dai panorami della Magna Grecia. E’ il colore a restituirci il fascino e direi quasi i profumi dei luoghi della Calabriaancinetogistici cheologico di Reggio calabria, la dott.ssa Zarattini, , in una dimensione sospesa, in un paesaggio senza tempo e senza riferimenti, in cui la natura diventa parte del mito e lo sguardo è libero di spaziare senza limitazioni o confini.

In questo senso, il segno, la parola,  il colore, e di riflesso l’attività di Sancineto, identificano uno spazio culturale comune per stabilire una sorta di dialogo, un nesso diretto, la possibilità dell’interpretazione del territorio in termini d’arte, alla luce di una nuova identità pittorica, per la quale i critici hanno coniugato, in una felice sintesi, il termine di astrattismo figurativo .

La mostra “La magna Grecia e i suoi segni” è la testimonianza viva di una nuova immagine della Calabria, che vuole essere non solo una Regione attiva e impegnata nella diffusione del proprio ricco patrimonio storico  ma capace anche di cogliere e valorizzare i fermenti contemporanei che confermano una intrinseca vivacità culturale,  più volte riconosciuta anche a livello internazionale come nel caso di Mimmo Sancineto.

Desidero quindi rivolgere l’espressione del mio vivo apprezzamento al maestro Sancineto, al Soprintendente Archeologico di Reggio Calabria, la dott.ssa Annalisa Zarattini, alla responsabile del Museo Archeologico di Sibari, dott.ssa  Silvana Luppino, ai curatori della mostra e a quanti hanno contribuito al buon esito dell’iniziativa affinché questa mostra rappresenti sia un  doveroso omaggio a un valido esponente della nostra terra natale, sia un’importante opportunità per aumentare il livello di conoscenza e di sensibilità del pubblico verso il patrimonio unico custodito dal Museo Archeologico di Sibari e, nel contempo,  verso le opere dei più validi artisti italiani contemporanei, tra cui Sancineto ha da tempo conquistato un posto riconosciuto.

Francesco Sicilia

Capo Dipartimento per i Beni Culturali e Paesaggistici

Salvatore Italia

Affermava Claudio Strinati nel 2005, presentando una mostra di Mimmo Sancineto nei prestigiosi ambienti di Palazzo Venezia a Roma, che ci troviamo dinanzi ad un artista dalla “complessa evoluzione”.

Quell’occasione in effetti, per la varietà delle opere e dei temi, offriva lo spunto all’illustre critico per una valutazione complessiva del lungo percorso artistico del maestro calabrese.

Appassionato narratore della sua terra di Calabria, Sancineto ha saputo collocare la sua personalità in una dimensione più ampia, al di là dei confini dei suoi luoghi di origine, rimasti –peraltro- sempre alla base della sua ispirazione, aprendosi così agli orizzonti cui giustamente deve aspirare l’artista di vaglia.

Sancineto ha già scritto, come sottolineato da qualificati critici e storici dell’arte, pagine importanti e significative in un quarantennio costellato di fasi e di passaggi frutto di una cultura personale di assoluto spessore che ha inciso sulla sua arte.

Indubbiamente il maestro ha subito nel suo processo formativo il fascino e l’influenza di grandi personaggi del Novecento (citerei, ad esempio, Rosai o Carrà per alcune eccellenti opere risalenti al decennio 1960/1970) ma la rielaborazione in chiave autonoma ed originale di quelle reminiscenze costituisce il chiaro esempio di una straordinaria capacità di segnare con la propria, inconfondibile, impronta un cammino da autentico protagonista

Nell’arte di Mimmo Sancineto si possono individuare caratteristiche che ne connotano l’indiscutibile talento.

Intuizioni folgoranti nell’uso dei colori, accesi e passionali (struggenti nei rossi intensi), tecnica raffinata che il maestro dimostra in ogni momento compositivo, richiamo suggestivo degli elementi della natura.

Quella di Sancineto è, in sostanza, una voce assai significativa dell’arte italiana di questi ultimi anni, una presenza che si impone in modo autorevole in palcoscenici sempre più importanti, meritando il crescente interesse della critica.

Le mostre programmate nelle splendide sedi di Firenze, Torino e Milano testimoniano ancora una volta l’interesse delle pubbliche istituzioni per un artista che fa onore all’arte del nostro Paese ai massimi livelli.

Salvatore Italia

Già Capo Dipartimento nel Ministero per i beni e le attività culturali


English version

Claudio Strinati in 2005, announcing Mimmo Sancineto’s work in ambient of Venice palace in Roma.

In fact this occasion offered the critic sense for one lengthy valuation for a long artistic trip of Calabres master.

A narrator with too much passion, of his land Calabria, Sancineto had fortify his personality in one dimension more huge, beyond of borders of his country, but this country is still his inspiration.

Without doubt the master has in his process the influence of the greats of 900-s (for example, Rosai, or Carra, for some brilliant works in decennary 1960/1970), but in one autonomous and original elaboration of this reminiscence consist the clear example, of one remarkably capacity to sign with  traces infallibility, one narrow of authenticity of protagonist.

In the art of Sancineto we can find the characteristic which shows the talent of Mimmo Sancineto.

Intuition, in use of passionate bright colours, refined technique, that master shows in every moment of his work.

This of Sancineto is in general, one significant voice of Italian art, one presence which obtrude oneself, in important scene.

The exhibition in Firenze, Torino and Milano are wetness of public interest, for one artist which honors the art of our country, in the highest level.

 

Salvatore Italia

Chief of Department in Ministry for Heritage and Cultural Activity 

 

Gianluigi Trombetti

Mimmo Sancineto nasce a Cerchiara di Calabria, paesetto posto a terrazza dominante l’ampia pianura dove verso l’ottavo secolo a. C. i coloni greci sbarcarono, forse attratti dalla bellezza del luogo, così contornato da alte montagne, ricoperte da lussureggianti faggete e con le cime imbiancate dalle nevi per buona parte dell’anno, dove pensarono potessero abitare anche  gli dei come Apollo, o forse attratti dalla fertilità della terra ricca di sorgive, solcata da diversi corsi d’acqua e dove vivevano allo stato brado dei buoi grandi e mansueti.

Nel luogo prescelto, vicino alla foce di un fiume che darà il nome  alla città  o viceversa?, fondarono quella che nel corso di breve tempo diventerà un centro potente, sinonimo di ricchezza e di costumi raffinati: Sibari.

La vita della prima città non fu lunghissima: la sua ricchezza venne presto in invidia agli altri popoli che la attaccarono e la distrussero. Ma come l’araba fenice rinacque dalle sue ceneri, forse ancora più bella e le sue strade  diritte e spaziose subirono i dettami urbanistici di Ippodamo da Mileto. Poi  vi furono ancora guerre e la cultura greca venne via via trasformandosi in quella romana e in quella veste vide gli albori del cristianesimo per decadere poi velocemente inghiottita dalle acque salmastre delle paludi, che solo da pochi decenni  e con grande sforzo stanno restituendo frammenti di colonne e portici, teatri e templi e qui e là qualche brandello di superbe sculture.

Da quella nativa terrazza Sancineto ha osservato e assimilato i colori e le forme di tutto quello che ricadeva sotto le sue percezioni, siano essi alberi, erbe, acqua, terra, cielo, siano essi opera dell’uomo o delle divinità: case, templi, chiese, ruderi nascosti dal capelvenere o dai roveti, rottami di un mondo che non è più e che aspettavano di poter attirare l’attenzione di qualcuno  che riuscisse a colloquiare nella loro stessa lingua.

Sancineto certo non poteva comprendere appieno il loro muto messaggio ma ne coglieva spesso l’essenza spirituale e la preghiera di poter tornare  ad essere protagonisti.

Ecco quindi nascere quei “muri di Calabria” che tanta fortuna hanno dato all’artista, imponendolo alla critica più autorevole ed a un vastissimo pubblico.

Oggi quei “muri” mostrano una diversa consistenza ideale e cromatica, non più cadenti, residui del passato, testimoni di dolore ed emarginazione, sconquassati dalla natura violenta del nostro Sud, ma eredi consapevoli di una cultura gloriosa che  è stata le fondamenta della civiltà moderna.

Nei suoi dipinti Mimmo Sancineto offre rielaborate visioni di quella cultura, dalle colonne di Metaponto a quella, solitaria sentinella, del tempio di Era Lacinia a Crotone; dal teatro di Sibari ai muri in opus reticulatum già prettamente romani di Copia e anche oltre quando appare  la celeste patrona di Castrovillari il cui santuario affonda le sue radici in un sostrato pagano dedicato forse a Persefone, divinità cara ai contadini alla quale si offrivano in dono statuette votive e monete incuse di Sibari recanti il possente toro retrospiciente. Ed è questo toro che spesso appare in altre composizioni di Sancineto, ora nella classica  posa monetale, ora cozzante come nella stupenda rappresentazione venuta alla luce con il ritrovamento recente di un’opera bronzea di superba forza espressiva anche se frammentaria.

In questi due modi l’artista lo riproduce  su pannelli in cui l’elemento figurativo si sussegue più volte con leggerissime varianti, quasi fotogrammi di un lento film.

In una sezione diversa della mostra Sancineto ritorna alla natura rigogliosa o aspra della sua terra e anche qui  la formula figurativa dei primi periodi ha lasciato il passo alla sintesi ed a una tecnica in cui il colore è anche materia compositiva, dato a pesanti spatolate grinzose e stratificate tanto da  suggerire quasi l’impressione di bassorilievi. E sono  solo i colori-forma a dare l’idea a creare, colori che nella nostra mente prendono la parvenza di campi di grano,  delle verdi praterie primaverili,  delle gialle distese di stoppie in cui ci sembra ascoltare l’assordante frinire delle cicale, dei rossi e marroni campi  preparati per la semina con sullo sfondo il cielo e il mare che si fondono senza più una linea di confine in un infinito senza tempo.

Lo stesso azzurro infinito che hanno visto i greci colonizzatori.  Lo stesso azzurro infinito che Mimmo Sancineto  ha visto e fatto suo dall’aerea terrazza di Cerchiara ed ora magicamente ripropone tra le preziosità del Museo di Sibari.    

Gaetano M. Bonifati

“Omaggio alla Calabria” è il titolo della mostra personale di pittura, tenuta recentemente a Roma alla Galleria “Il Tetto” da Mimmo Sancineto, che impagina fascinose tracce di mondi intrisi di storia in cui la presenza dell’uomo è nella immaginazione, negli spazi chiusi delle pareti, nelle muraglie invalicabili che si rivelano come l’oggettivazione di quella passata tristezza ancora e sempre presente.

Muri della Calabria. Muri del Sud, quindi, che fanno sentire l’ignoto, il nulla, il vuoto; ma date le strutture storico-monumentali si inseriscono in un discorso universale. Infatti il linguaggio del Sancineto è sempre frutto di un’operazione intellettuale, che cerca nei muri la penetrazione di una realtà ab imis fundamentis. La pittura diventa così strumento di un racconto che si intreccia al motivo esplicito di ogni esistenza trascendente. Per questo l’artista dà alla sua pittura un tono più interessante con un categorico rifiuto dell’astrazione, intesa come “essenza” preferendo affrontare il problema della natura attraverso suggestive ricostruzioni di paesaggi, bloccati tra due fasce di colori a volte contrastanti alle strutture ma efficaci per l’impegno che il colore assume nelle ondulazioni e nelle trasparenze.

Innamorato com’è della Calabria, della sua solennità, del suo pittoresco, Mimmo Sancineto avrebbe potuto dipingere quadri intensamente lirici, invece fissa un’impressione con pochi tratti essenziali - quasi una sintesi - per finire con colori che rispecchiano l’intima e sincera malinconia del pittore. Insomma una realistica rappresentazione per forza di particolari e circostanze sociali, ma una identificazione di forma e contenuto come un “transfert” della tristezza del presente. Una pittura pregna di silenzio che urla e che si chiarisce definitivamente alla coscienza dell’artista come se volesse trasformare il mondo, il cielo, lo spazio alla luce della maturazione stessa della coscienza calabra.

Gaetano M. Bonifati

Primi Piani, Maggio-Luglio 1982

    

 

 

 

 

 

Silvana Luppino

Sibari 2006

L’evento che apre la stagione estiva 2006 al Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide è la mostra di Mimmo Sancineto su “La Magna Grecia e i suoi segni” tema che non poteva essere più appropriato all’interno di una struttura nata di recente (1996) come polo museale centrale dell’intero comprensorio calabro-settentrionale. Il Museo si colloca, con il suo lungo percorso sulla cultura materiale della Sibaritide dalla Protostoria (II millennio a.C.)  al tardo-antico, nel suo spazio naturale, la vasta Piana di Sibari racchiusa entro il mirabile scenario della catena montuosa del Pollino e le basse spiagge dello Jonio.  In questo contesto ambientale ed architettonico in cui la volontà di simbiosi tra antico e moderno ed il rapporto tra spazio interno ed esterno assumono particolari connotazioni, permeando il paesaggio circostante, si offre ora al visitatore l’esperienza artistica di Mimmo Sancineto la cui vibrante tensione nella rappresentazione della realtà viene assunta quale mezzo di sollecitazione psicologica e come spinta alla conoscenza delle tracce materiali di un prestigioso passato che sono tuttora una concreta presenza e ci restituiscono attraverso le molteplici emozioni del colore forti suggestioni in spazi rarefatti e solenni intersecati da segni, linee e sagome vivacemente mobili. La reinterpretazione dei reperti archeologici trasfigurati dal colore e la sequenza dei muri sollecitati dalla luce che si succede nelle ore del giorno  e sempre sotto l’effetto delle trasformazioni apportate dagli uomini nel corso del tempo dipanano il filo della memoria insieme con il presente che ci circonda e ci viene mostrato con il fine evidente di rivitalizzarlo nel momento stesso in cui ne prendiamo coscienza.

Silvana Luppino

Archeologo Direttore Coordinatore Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria


Sibari 2006 - English version

The event that opens the summer season 2006 at the Archaeological National Museum in Sybaris area, is Mimmo Sancineto’s art exhibition on “ Magna Graecia and its signs”: a theme that is really appropriate inside a building recently born as a central museum pole for the whole northern Calabrian area. Actually the Museum lies – with its long study on the material culture of “Sibaritide”, from the Protohistory ( II millennium B.C. ) to the late antiquity – in its natural site: the large Sybaris Plain enclosed in the wonderful scenery of the mountain range of Pollino and the low beaches of Ionic sea. Mimmo Sancineto’s artistical experience is offered to the visitors in this environmental and architectural context where the harmony between the ancient and the modern and the connection between inner and outer space take a particular connotation, permeating the surrounding landscape. His emotional representation of reality is like a means of psychological stimulation that encourages us to know the material traces of an impressive past that are really present and give us deep suggestions through the numerous “emotions of the colour”.

The representation of the archaeological finds transfigured by the colours and the series of walls revitalized by light, in the different hours of the day, and always transformed by man in the course of time, give us the possibility to follow the thread of memories and, at the same time, to show us the present, giving it new life, just at the moment we become aware of it.

Silvana Luppino

Archaeologist Director Coordinator – Calabria Archaeological Monuments Office.

Leonardo Alario

L’ARTE DI MIMMO SANCINETO COME MESSAGGIO DI LIBERAZIONE

Mimmo Sancineto è uno che ha scelto di rimanere. Alla lusinga del facile e prorompente successo ha preferito la consapevolezza del proprio ruolo nella terra due volte sua, per nascita e per elezione. Sicché sin dall’inizio ha deciso di essere un operatore culturale, uno stimolatore di coscienze, un promotore di attività concretamente dirette a togliere dal letargo non solo i più larghi strati popolari delle nostre cittadine della Sibaritide, ma anche, e soprattutto, fior d’intellettuali di provincia, paghi della loro Gazzetta, della consolidata fama di saggi, e della lettura estiva del romanzo premiato, regolarmente giunto in ritardo nella libreria-bazar del paese. I mezzi escogiatati per procedere sulla spinosa strada sono diversi, alcuni subito caduti, altri ancora resistenti, tutti fruttuosi, comunque.

Basti pensare alla Galleria d’arte “Il Coscile”, vero centro culturale, ai premi di pittura, alla stampa di libri rari, alla presentazione di opere importanti, alle celebrazioni periodiche del pittore A. Alfano, ad Alternativa Sud, e alla sua pittura.

Ho citato in coda la pittura semplicemente perché per Mimmo Sancineto essa non è solo strumento operativo, è pure, e soprattutto, vocazione, nata con la sua mente, i suoi occhi, le sue mani, e maturata attraverso la fatica di vivere i propri, giovani anni colmi di desideri in una terra che raramente li appaga.

L’uomo si porta per sempre dentro i luoghi ed i fatti della sua infanzia. Tutto ciò che vede, che impara, lo filtra attraverso la griglia delle sue prime esperienze, e vede ed impara solo quello che attraverso tale filtro gli appare interessante. La città del Sellaro è terra di pastori-contadini, di rocce grige stratificate e degradate, di campi resi verdi dalla fatica dell’uomo che inventa ogni giorno la possibilità di vivere ancora domani, di sopravvivere nella concreta realtà del bisogno. L’emigrazione per sfuggire ad una vita di stenti, il desiderio giustissimo di dare ai figli un futuro meno duro, la civiltà industriale, hanno cambiato in parte il volto socio-economico di Cerchiara. Ma i moduli culturali sono sempre lenti ad evolversi e, nonostante i rivoluzionamenti tecnologici, l’uomo non sembra restare ancora quello di prima, e generazioni occorrono per modellare schemi mentali e comportamentali al progresso scientifico e tecnologico che, intanto, continua ad avanzare freneticamente.

Sicché ancora oggi è possibile segnalare la presenza della giovane coppia che usa con sicurezza molti strumenti della tecnologia avanzata e che ha avuto esperienze culturali notevoli nella necessaria vita di lavoro in terra straniera, e avverte tuttavia il bisogno di apporre la maschera apotropaica sulla porta della nuova casa, così come facevano i nonni, forse senza avvertire i significati nascosti e la funzione protettiva, ma con la certezza di aver adempiuto un gesto rituale dovuto.

In questa comunità seriamente minacciata dalle sollecitazioni endogene ed esogene, da avvertite necessità di cambiare e migliorare, da messaggi massmediali ferocemente deculturanti, e tuttavia resistente e non facile alla disgregazione, Mimmo Sancineto matura la sua esperienza di giovane attento agli uomini e alle cose, alle urgenze ed ai bisogni, agli accumuli ed alle tensioni, organizzando quei codici culturali che dopo le necessarie sperimentazioni e esercitazioni per affinare le capacità tecniche ed espressive, riemergono possenti nella stagione dei muri, quel particolare modo artistico e politico insieme d’interpretare e presentare il Sud.

Sui muri si è appuntata l’attenzione della critica. Di essi sono state fornite le più disparate chiavi di lettura che hanno dato risultati diversi, talora opposti, tutti riducibili, tuttavia, alla complessa problematica meridionale, ed alla volontà e capacità di Sancineto di rinarrarla per sollecitare negli altri una vigile attenzione ai fatti sociali attraverso la fruizione del godimento estetico di un’opera d’arte. Sancineto è stato così definito il pittore dei muri. Ma non ci si è accorti che in quei quadri non ci sono solo muri e strade bianche di solitudine. Ci sono porte e finestre e balconi. Ed è dietro quelle finestre, quelle porte, quei balconi serrati che si avverte l’operosa presenza dell’uomo, tuttavia assente figurativamente. All’aggressione proteiforme del mondo tecnologico, l’uomo si chiude nel proprio spazio culturale, rifunzionalizza comportamenti e schemi di riferimento assopiti, riprende antiche ritualità quotidiane. Così soggetto della pittura di Sancineto è proprio l’uomo che, braccato dall’avanzare di modelli culturali sicuramente più avanzati, ma sentiti alieni, è costretto ad asserragliarsi fra muri sicuri, e vive assediato dentro la sua casa-rifugio, propiziando sogni di libertà e salvezza.

E la redenzione, come nelle antiche religioni misteriche, è nelle stagioni, nell’abbraccio della coppia, nella terra feconda. Come per miracolo una primavera perenne sembra far lievitare il mondo. Colori vivaci dilagano per i campi, inturgidendo la natura che esplode nella festa dei prati e degli uccelli che volano. E compare l’uomo. Ma non sulla tela. Nella scultura sì. Nella materia l’uomo si fa presenza concreta che può essere toccata, afferrata, accarezzata, palpata per seguirne le forme ed avvertirne le interne, sottili vibrazioni. Nel suo ritorno alla terra, nella sua fede nella natura, la coppia dell’uomo ritrova l’essenza vitale, e si libera da condizionamenti e restrizioni. Si pone nuda di fronte alla natura, si fa natura nella riappropiazione della ritrovata innocenza e della riacquistata libertà.

L’uomo redento di Mimmo Sancineto è l’uomo acculturato che non ha dimenticato la terra. Gli insidiosi processi di deculturazione hanno condizionato, ma non hanno fatto frenare la sua speranza e la sua ansia di ricerca. Ecco perché, dopo lo smarrimento, l’uomo ritorna ad essere se stesso. La disperazione e la rivolta, probabilmente adombrate nelle stagioni dei muri, non prendono il sopravvento.

L’uomo ha capito che il segreto del riscatto è in se stesso. Le lagnanze e le attese degli altri non pagano. Il ritorno alla terra e alla festa liberatoria della natura vuole essere proprio il ritorno al territorio della propria cultura da cui cogliere le gemme salvatesi dalla desolazione e ancora turgide di vita, la ritrovata fiducia nella propria dignità di uomo, la composizione del suo lacerato essere maschio e femmina, la consapevolezza del suo far parte della natura e del suo diritto di utilizzare vecchi e nuovi strumenti per confermare la sua umanità, e non per abbruttirsi nella soggezione al falso progresso che inganna e uccide.

E’ importante sottolineare che il suo messaggio più significativo e culturalmente più utile, Sancineto lo affidi alla scultura, lo esprima, cioè, attraverso la manipolazione della materia, attraverso il contatto diretto con un elemento della natura, la creta, che trasforma ed utilizza ai propri fini. E questo probabilmente perché, con la manipolazione della materia, concretizza di fatto il suo rapporto uomo-natura, e con il ritorno alla scultura chiude il primo lungo ciclo della sua esperienza artistica per riaprirne un altro che non sia diverso dal primo, ma che del primo sia anzi continuazione e naturale evoluzione. Egli ha cominciato con la scultura, ad essa attratto naturalmente dalla pietra, famosa, del suo paese.

Cerchiara è terra di pastori-contadini, e di tagliatori di pietra. Il padre di Sancineto è scalpellino. Mimmo apprende da lui l’arte di interagire con la materia per trarne le forme e le funzioni volute. Approdato in altri luoghi e passato attraverso una diversa esperienza artistica, Sancineto si porta sempre e comunque dentro la cultura della terra nativa che ora riemerge, lo riconduce alla scultura, e nel circolo che si chiude Mimmo Sancineto si conferma uomo della sua terra con intelligenza aperta all’universale movimento di libertà e salvezza.


MIMMO SANCINETO’S ART AS MESSAGE OF LIBERATION

Traduzione di Nicola Pierro - English version

Mimmo Sancineto matures his experience of a young artist who is attentive to men and things, urgencies and needs, accumulations and tensions, by organizing those cultural codes that, after being experimented and exercised to refine the technical and expressive skills, come out powerfully in the season of walls, that particolar way of interpreting and portraying the south.

The attention of critics has directed towards the walls. They gave completely different explanations but all of them leading to the complicated meridional issue, and to  Sancineto’s will and capability of retelling it to make others interested in social issues through the enjoyment of an artwork. Sancineto has been named the wall painter. But they didn’t notice that in his paintings there aren’t only walls andwhite roads of solitude. There are doors, windows and balconies. It’s behind those closed windows, doors and balconies that you notice the laborious presence of man even if figuratively absent. Being attacked by a proteiform technological world, man closes in his own cultural space, redefines behaviours and related schemes almost asleep and takes again his ancient daily rituals.

So the subject of Sancineto’s painting is man.  A man who is hounded by undoubtley advanced cultural models felt as alien. A man who is obliged to barricade himself in safe walls and live besieged in his house refuge, propitiating dreams of freedom and salvation.

The redemption is in the embrace of the couple, in the fertile soil, as in the ancient mysterious religione. A perennial spring seems to make the  world rise by miracle. Bright colours spread over the fields making nature swell and bloom in the feast of meadows and of flying birds. Then man turns up. Not on canvas but in sculpture. In the concrete matter man becomes a presence that can  be touched, seized, given a caress, felt to follow his shapes and feel his interior  and subtle vibrations. The couple finds again his vital essence and gets rid of conditionings and restrictions by returning to earth and having faith in nature. They face nature naked and become nature themselves by taking again their found innocence and acquired freedom.

The redeemed man of Mimmo Sancineto is the cultivated man who hasn’t lost remembrance of earth. The insidious processes of deculturation made man adapt to them, but they didn’t stop his  hope and his anxiety for research. That’s why, after bewilderment, man begins to be himself. Desperation and revolt, probably overshadowed in the wall season, won’t get the upper hand over him.

Man realized that the secret of redemption is in  himself. The complaints and expectations of the others don’t pay. The return to earth and the liberating feast of nature are meant as the return to the territory of his own culture from which he gathers the buds saved from the desolate land but still full of life. It means faith in his own dignity of man, composition of his torn apart male and female being, consciouseness of his taking part in nature and his right to use old and new instruments to confirm his humanity and not to make himself brutal by submitting to false progress which betrays and kills.

It’s important to underline that Sancineto entrusts his most significant and culturally useful message to sculpture and expresses himself by manipulating the matter, clay, that he transforms and finds a use for his own purposes.

That is probably why, Sancineto, by manipulating the matter, makes his relationship man-nature concrete, and with his return to sculpture he closes his first long cycle of his artistic experience to re-open another one which is not different from the first, but it is its continuation and natural evolution. He started with sculpture, attracted to it, naturally, by his country famous stone